OPINIONI
 

 

Verifica della stupidità istituzionale italiana

Oggi 17 dicembre 2024 ho verificato la stupidità di alcuni funzionari del ministero della cultura dello stato italiano.
Articolo di giornale: Messaggero Veneto - Cronaca locale - Fagagna
Titolo: "Ricerche sulla collina del misteri - Emersi i resti di un altro scheletro"
Mi interessa....Salgo in macchina e vado a vedere; Arrivo lì.... zona recintata, saluto due persone in borghese presenti dentro il recinto. Chiedo se si può guardare. Uno dei due evidentemente infastidito per la mia presenza mi dice di leggere il cartello. Leggo....c'è solo il divieto di accesso per area sottoposta a sequestro....estraggo il mio GPS da trekking e faccio un waypoint, poi prendo il telefono per fare un paio di foto e a quel punto lo stesso estrae un tesserino di riconoscimento da carabiniere come se fosse un arbitro in procinto di espellere un giocatore dal campo e mi dice <lei non può fotografare terze persone senza il loro consenso> e con questo mi invita ad andarmene. Esprimo il mio disappunto con un semplice <tutto questo è ridicolo> e me ne vado. 
Ma perchè mettete una notizia sul giornale se poi una persona per curiosità non può andare a guardare e fare un paio di foto? Ma perchè lo pubblicizzate? Perchè non scrivete su questo minchia di giornale che il luogo è interdetto al pubblico o che sono vietate le visite?  In che Italia cialtrona viviamo!    Ho l'impressione che tante persone che svolgono un lavoro pubblico abbiano bisogno di fare corsi di buona educazione prima di cominciare a lavorare. Vergognosi
 

Statalismo malato

Dal 1970 in poi i funzionari del ministero dei beni culturali hanno prodotto più danni morali e materiali al patrimonio culturale di quanti ne abbiano prodotti tutti i tombaroli d’Italia messi insieme. Hanno scarnificato il senso di appartenenza ad una nazione che c’è in ogni cittadino che fa cultura e lo hanno buttato nel bidone delle immondizie non riciclabili.
Dico questo perché è la sintesi di tutte le considerazioni che si sono fatte da cinquant’anni a questa parte sui rapporti intercorsi tra i cittadini che hanno fatto ricerca archeologica dilettantistica e i funzionari del ministero.
Cinquant’anni fa i trovarobe della prospezione visiva sugli arativi anelavano di imparare, di sapere cos’erano le cose che capitavano loro tra le mani, volevano capire, volevano che qualcuno insegnasse loro come fare, come collaborare. Più tardi, dieci anni dopo, i nuovi trovarobe della prospezione con il metal detector avevano decuplicato il desiderio di apprendere perché quello che raccoglievano era straordinariamente nuovo tanto da non averlo mai visto in nessun museo, in nessuna raccolta e in nessuna collezione, tanto da non trovare confronti. In quel frangente sarebbe bastato che le soprintendenze avessero aperto un ufficio o un settore di controllo della provenienza dei materiali, affidando il compito ai cosiddetti ispettori onorari che andavano tanto di moda a quei tempi. Sarebbe bastato che si fossero raccolte le informazioni peculiari provenienti da ogni gruppo di ricerca, informazioni che oggi sappiamo valere molto di più degli oggetti e dei reperti raccolti. Sarebbe bastata una minima apertura di credito verso queste persone, istruendole nelle modalità operative, comportamentali e morali.
Invece no, lo scontro tra cittadini e istituzioni fu terribile e deleterio. Il dictat assoluto, il divieto perentorio, la minaccia di denunce, di deferimenti e di sequestri fu l’unico metodo adottato dai nostri bravi funzionari. Nel giro di qualche anno quasi tutti i gruppi si disgregarono, e i loro addetti più oculati si diedero alla clandestinità. Non oso neanche pensare a quanti materiali e a quante informazioni siano andati persi da quel periodo ad oggi. 
Nel presente c’è stato un completo capovolgimento dei ruoli: i moderni Indiana Johns hanno isolato nei loro uffici i rappresentanti istituzionali e stanno imparando ad aggirare i controlli telematici del nucleo Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) mentre i funzionari hanno perso completamente il contatto con il territorio e non sanno più nulla di ciò che succede nonostante il lavorio sia continuo e inarrestabile.
È una Caporetto culturale che fa piangere. I vecchi trovarobe hanno proposto infinite volte la reciproca collaborazione e non l’hanno mai ottenuta. La colpa è solamente delle istituzioni e delle leggi vigenti che si inaspriscono ogni giorno di più, nella speranza di ottenere un risultato migliore.
Invece sono vittime suicide dello statalismo malato che le ha generate.

Istituzioni dispettose

Le opinioni contano, altroché se contano, ed hanno anche valore decisionale quando hai a che fare con qualcuno che fa di tutto per infastidire. Ed, è tutto quello che possono contro di me, e della mia indifferenza nei loro confronti.
Era il mese di maggio del 2015 quando è avvenuta l’ultima consegna di materiali archeologici da me raccolti: 143 oggetti di epoca romana.
La prassi era la solita: una telefonata al sindaco di Vivaro per prendere appuntamento; una lettera formale di consegna, un listato degli oggetti e una scatola contenitore. Era ovvio che la roba, di pertinenza territoriale all’antiquarium di Tesis, venisse consegnata al sindaco del comune ospitante, come di prassi era sempre avvenuto: un conteggio e un controllo che ci fosse tutto, la firma, la controfirma per ricevuta, una stretta di mano e le cordialità di rito. Tutto qui!
Il materiale da me consegnato quel giorno però non è mai giunto all’antiquarium di Tesis ma è stato subito dirottato presso il museo di Pordenone per ordine della soprintendenza.
Giuro che non sono mai riuscito a capire perché, visto che le consegne successive di altri ricercatori hanno seguito l’iter normale e depositate regolarmente presso il magazzino dell’Antiquarium.
Da quel momento però io non ho più consegnato nulla e sono nove anni che non lo faccio più.
Immagino che la mia decisione abbia suscitato altrettanto fastidio, dato che pubblico sempre le foto della roba che trovo, ma ora, invece di consegnarla, la rimetto sotto terra.
Perché??? Non amo essere preso per il fondello.
Nell’Antiquarium di Tesis ci sono più di un migliaio di oggetti che dovrebbero portare il mio nome nel cartellino di ritrovamento, e invece sono tutti anonimi, nessuno sa chi li abbia portati lì e quante giornate abbia perso per raccoglierli, quanti chilometri abbia fatto per la ricerca e quanto valga il nulla che ha ricevuto in cambio. Nessuno può sapere chi e quanti siano i ricercatori che hanno lavorato per costruire una così copiosa raccolta, ne quali speranze li abbiano mossi per giungere a questo risultato. Speranze infrante dalla malafede delle istituzioni che hanno fatto sempre di tutto pur di non ammettere e riconoscere che avevano ragione quelli lì con il metal detector. 
Se non avessero disubbidito ad una legge generica e mal fatta, tutto sarebbe andato perduto.
Pochi gruppi archeologici in Friuli sono riusciti a raccogliere quanto il gruppo di Tesis e ad ottenere risultati simili.
Non riesco ancora a capire quale tornaconto abbiano avuto gli inveterati autolesionisti a deviare i miei 143 reperti del maggio 2015.  
Hanno dimostrato di essere soltanto degli ignobili figli di uno statalismo malato e di non meritare più nulla da nessuno.

Fotografia degli odierni ricercatori archeologici dilettanti
(Ricercatori vecchio stampo, ruffiani, riconvertiti, e tombaroli)

I nuovi ricercatori archeologici nascono già con il dna mutato; sono come certi batteri, resistenti agli antibiotici. Qualsiasi accenno a rispettare la legge genera un rifiuto automatico come l’anti spam delle email.
Eppure sono passati pochi anni, forse solo una generazione da quando decine e decine di volenterosi hanno incominciato a raccogliere le cose antiche con il miraggio di dare vita a un museo civico nel loro paese o nella loro città: uno slancio pieno di maturazione, di sensibilità civile e di desiderio di cultura.
Bene, tutto questo oggi non esiste più, a cancellare tutto ci hanno pensato i funzionari statali delle soprintendenze ed i politici ignoranti che hanno prodotto leggi sempre più restrittive senza distinguere le cose buone da quelle cattive, ossia senza comprendere che i cittadini che facevano ricerca archeologica del paesaggio non errano per forza dei disonesti.
Facendo un’analisi un po’ più accurata della trasformazione del modo di pensare del ricercatori dilettanti odierni possiamo elencare sostanzialmente quattro gruppi ben distinti.
1) La categoria dei ricercatori vecchio stampo che, nonostante le difficoltà delle relazioni con le istituzioni, hanno tenuto duro e hanno continuato a pensare all’arricchimento culturale collettivo.
2) La categoria dei ricercatori ruffiani o “cani da riporto”, che avendo fallito nell’arte di trovarobe, si atteggiano a “informatori delle soprintendenze” (leggasi spie) e comunicano quello che annusano nell’aria.
3) La categoria dei ricercatori riconvertiti, che ormai si dilettano a raccogliere e a scambiarsi tra loro quello che trovano come se i reperti fossero figurine della “Panini”.
4) La categoria dei tombaroli classici che vendono tutto quello che trovano per fare denaro.

I ricercatori di vecchio stampo sono rimasti pochissimi e sono paragonabili a degli archivi ambulanti per la loro capacità e conoscenza. Hanno saputo tenere duro e hanno conservato intatta la loro integrità morale.
I ruffiani invece lavorano nell'ombra perché sono dei parassiti, perché se qualche notizia si diffonde nell’aria, proviene sicuramente da coloro che lavorano alla luce del sole e si comportano come cani da riporto. Ne abbiamo ovunque di questi elementi, però con l'avvento della grafica digitale e delle pubblicazioni extracomunitarie essi non hanno più vita facile. 
La categoria dei riconvertiti, ovvero dei ricercatori con il dna modificato, la stragrande maggioranza dei ricercatori odierni (si parla di varie centinaia di persone in Friuli Venezia Giulia) è una categoria indotta per la maggior parte dalla legge e dall’intransigenza dei funzionari statali. Sono in definitiva ex ricercatori collaborativi, che hanno perso la fiducia nelle istituzioni, che hanno valutato la stupidità di certe leggi e hanno deciso di fare un cammino diverso e di tenersi quello che trovano. Essi girano dappertutto, in pianura, in montagna, sui cucuzzoli delle colline e raccolgono qualsiasi cosa capiti loro in mano senza prendere nota della provenienza degli oggetti. Parlando con loro sembrano inattaccabili; se gli chiedi cosa stiano facendo rispondono “perché ti interessa? I funzionari statali cosa ti hanno dato finora? ah solo pedate nel sedere? E allora perché non ti fai gli affari tuoi?”
La categoria dei tombaroli, ovvero di coloro che cercano e trafficano per fare denaro sono la categoria che più assomiglia ai nostri funzionari statali ed alla maggior parte degli attuali insegnanti di cose antiche, per quantità di danni arrecati alla nostra cultura: i primi si portano via le testimonianze della nostra storia per venderle ai collezionisti privati, i secondi sparano a zero su coloro che la storia la amano, la coltivano e la condividono per piacere.
I vecchi conoscitori e frequentatori del territorio (in ogni comune ce ne sono stati almeno un paio) pian piano scompaiono o si convincono che impegnarsi, con questi funzionari e con queste leggi indecenti, non si va da nessuna parte. A cosa serve il senso civico e la disponibilità se le istituzioni osteggiano e denigrano invece di ringraziare? Così ogni volta che uno di questi ricercatori se ne va o perchè muore o perchè smette o perchè cambia categoria, è come se bruciasse una biblioteca intera, i cui contenuti non potranno essere mai più recuperati.

La polpetta avvelenata

In questi anni di crisi economica il volto ufficiale della cultura non ha prodotto nulla, i soldi pubblici sono sempre pochi, e senza soldi nessuno è incentivato a fare. Sì perché i professionisti del sapere costano tanto, costano anche quando non fanno niente, figuriamoci quando lavorano!
Gli studiosi indipendentisti non istituzionalizzati invece hanno imparato a gestirsi da soli e fanno anche una parte di quello che l’ufficialità dovrebbe fare: scendono sul territorio, fanno ricerca e producono informazioni senza bisogno di soldi pubblici.
Fino a qualche tempo fa questi dilettanti erano spesso derubati e plagiati delle notizie delle loro scoperte perché solo le fonti ufficiali avevano l’opportunità di pubblicare; oggi la situazione si è capovolta e le pubblicazioni libere e indipendenti prevalgono, però sono condannate all’oblio forzato imposto dall’ambiente accademico.
Ma l’oblio forzato è un’arma a doppio taglio e se da un canto impedisce ai dilettanti di emergere nel panorama culturale, dall’altro ostacola gli accademici nell’affrontare gli stessi argomenti senza essere contestati.  
Oggi i professionisti del plagio culturale sono stati smascherati perché si comportano sempre allo stesso modo: leggono, comprendono benissimo l’importanza, e pensano subito a come appropriarsene. Così cercano in ogni modo di aggirare l’ostacolo escludendo la vera fonte della novità e cercando di attribuirla ad altri come loro; e se non ci riescono, restano fermi sulle loro convinzioni sbagliate e non parlano.
Così una notizia innovativa o una scoperta indipendentista di grande valore diventa per loro una polpetta avvelenata: pur di non ammettere una fonte profana, preferiscono stare male; piuttosto di citare nelle loro bibliografie il lavoro di studiosi indipendenti, preferiscono mangiare la polpetta e soffrire?
Il successo però gioca a favore di chi lavora, di chi, giorno dopo giorno, mette insieme e pubblica ogni informazione, e non dei nulla facenti che si appostano per tendere l’imboscata al primo inconsapevole che passa.

Tedeschi sulla spiaggia di Lignano Sabbiadoro con il cercametalli

Passato un po’ di tempo dal fatto, era il 23 luglio 2019, vorrei commentare il ritrovamento, con il cercametalli, di una bomba inesplosa sulla spiaggia di Lignano da parte di un ragazzino tedesco e di suo papà.
Se io italiano fossi andato in Austria o in Germania o in Slovenia con un metal detector come minimo mi avrebbero sequestrato lo strumento, mi avrebbero dato una bella multa e avrei passato un brutto quarto d’ora davanti alla polizia.
Perché in Italia questo non succede? Cosa ci facevano in Italia dei tedeschi con un cercametalli? 
L’Italia è l’unico paese della comunità europea in cui qualsiasi cosa trovata nel sottosuolo o nelle profondità marine appartiene allo Stato, compreso ciò che non sa neanche di avere però al momento non c’è nessun articolo di legge che regolamenta l’uso del metal detector, fuori dalle zone tutelate dal Ministero per i Beni Culturali. Perché almeno in questo caso non è stato applicato il D.L. Franceschini e Orlando che vorrebbe in galera tutti i possessori di metal detector?
Perché la legge non ha definito i nostri esteri come dei potenziali ladri invece di presentarli su tutti i telegiornali come dei benemeriti?
Molti comuni litoranei hanno istituito il divieto di cercare cose con questo coso sulla spiaggia e sulla battigia. In questo caso, se a trovare l’ordigno fosse stato un italiano avrebbe dovuto fare una telefonata anonima per segnalarlo senza incappare in contravvenzioni o sarebbe stato meglio per lui averlo abbandonato senza dire nulla? Lascio a voi il giudizio sulla qualità e sull'uniformità della giustizia in questa Repubblica delle Banane.

Un salto di qualità per maturare

Dopo tanti anni di ricerche attive nel settore dell’archeologia del paesaggio con il cercametalli e la zappetta, ho cominciato a osservare il territorio in cui vivo e abito con occhi nuovi, con animo e spirito nuovi e ho cominciato ad apprezzare certe informazioni che il terreno mi dà, solo annusando l’aria, solo ascoltandolo in silenzio, solo immedesimandomi con esso.
Qualcuno dirà che sono diventato pazzo, che ci vogliono oggetti, materiali e dati per scrivere la storia e non suggestioni. Si, è vero, ma ad un certo punto della vita gli oggetti ed i dati non mi bastano più, ho bisogno anche di altro, delle sensazioni, delle percezioni e delle emozioni. Certo è anche vero che di emozioni ne ho avute tante, dopo aver estratto dalla terra migliaia di reperti antichi, ma la percezione è qualche cosa che va al di là, che supera il muro di omertà delle cose e le fa parlare.
Da un po’ di tempo ho cominciato a frequentare il territorio del Friuli con un amico, uno che conosce le vie di comunicazione antiche più di chiunque altro. Mentre giro con l’auto tra colline e poggi a visitare i luoghi più frequentati dall’uomo nel passato, apprendo attraverso il suo metodo di studio, cose che non avrei mai pensato. Nonostante che il mio occhio sia addestrato a vedere anche l’invisibile, egli mi suggerisce che c’è un’altra dimensione nella quale dovrei entrare. Egli mi dice sempre che bisogna cambiare registro e vedere le cose sotto un altro profilo perché le strade ed i sentieri per esempio, (e lui di strade e sentieri se ne intende) dove transitavano gli antichi, sono ancora tutti sotto i nostri occhi, basta saperli distinguere da quelli che via via sono stati aggiunti con l’andar del tempo.
Lo stesso vale per gli insediamenti e i punti di avvistamento e di controllo del transito attraverso le colline e le montagne.
Se in pianura le linee ortogonali della centuriazione romana sono quasi scomparse, perché prodotte per suddividere il territorio e non per raccordare un luogo con un altro, le piste ed i sentieri più antichi e preistorici si sono conservati fino all’epoca moderna perché l’uomo li ha sempre preferiti per maggior comodità.
In montagna e in prossimità di rilievi poi, dove la centuriazione non è stata attuata, i sentieri sono ancora tutti lì. Recentemente alcuni sono stati rimaneggiati e ristrutturati, fino a divenire vere e proprie strade d’altura, ma la loro funzione rimane intatta. Lungo essi sono fioriti nel tempo borghi, paesi, castelli, alpeggi e altre forme insediative, ma sempre e solo per merito della loro presenza.
A proposito di strade, questo amico mi ricorda sempre che ogni fiume aveva una sua viabilità littoranea di destra e di sinistra e tanto più queste vie si allontanano dal corso d’acqua, più larga era l’area di esondazione del fiume durante le piene. I passi (o passaggi a guado) erano frequenti e tutti raccordati da queste strade littoranee che completavano la viabilità di comunicazione tra le località importanti. Oggi quasi tutti i fiumi sono arginati e la percezione delle aree golenali e delle vecchie paludi è molto falsata perciò per capire il territorio antico, la sua viabilità e la diffusione degli insediamenti, necessita prendere in mano gli attrezzi del geometra, lasciando a casa il cercametalli e la zappetta.
I tempi stanno cambiando, i lavori agricoli hanno fatto scomparire una miriade di indizi antropici, ma il territorio è sempre lì e sempre disponibile a dirci e a darci qualcosa, purché sappiamo cogliere quello che ci offre, senza forzature. Ci vuole perseveranza ed esperienza per fare una ricerca come questa, rivedendo costantemente i risultati raggiunti in funzione dei nuovi elementi acquisiti.
È una ricerca senza fine che richiede onestà con se stessi e con gli altri.
Trasferirò col tempo, questo metodo di studio anche alla destra Tagliamento, in modo da legare, se possibile, l’intero Friuli in un’unica realtà paesaggistica e storica, superando le contrapposizioni, le divergenze ed i campanilismi politico istituzionali che danno tanto l’impressione di ignoranza.
Repetita iuvant: è utile ricordare che il territorio appartiene a coloro che lo frequentano e lo vivono, non a coloro che non se ne curano e tantomeno a coloro che credono di tutelarlo stando seduti dietro una scrivania, e se le risorse scarseggiano, ognuno ci metta del suo, così come fanno da sempre, per amore della loro terra, quasi tutti i ricercatori indipendentisti non istituzionalizzati.

Cancellare la legge Franceschini Orlando sui Beni Culturali

L’ex ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini e il suo degno compare Andrea Orlando non hanno capito niente di Archeologia e di Beni Culturali. Essi hanno prodotto un disegno di legge demenziale e incivile, anche se sappiamo che non hanno fatto nulla di loro iniziativa, ma solo quanto l’alta burocrazia statale ha chiesto loro di fare, senza domandarsi se è bene o se è male.
Con un Ministero ridotto ad uno scheletro, dove i funzionari locali non sanno nemmeno come sia fatto il territorio che sono chiamati a tutelare, ci si domanda se sia il caso di continuare a fare a meno dell’opera del volontariato e dei cittadini onesti. Questi burocrati continuano a credere di poter contrastare l’illegalità soltanto inasprendo le pene o promuovendo nuove leggi sempre più severe quando poi non ci sarà nessuno capace di farle funzionare. Se ad esempio scopriamo che un tutore dell’ordine delinque, non è che togliamo le armi a tutte le forze di polizia, le togliamo a quella persona; così se scopriamo che un cittadino vende o baratta oggetti archeologici trovati con il metal detector non è che dobbiamo eliminare tutti i metal detector in circolazione, ma perseguiamo il cittadino disonesto e lo sequestriamo a lui.
Il Ministero ha tormentato per anni i volontari che frequentavano le associazioni archeologiche di ricerca, desiderosi di dare una mano solo per senso civico.
Siamo sicuri che abbia fatto bene? Siamo sicuri che questi ricercatori che se ne sono andati a fare altro, non abbiano continuato questa attività senza più collaborare?
Non sarebbe meglio aprire le concessioni di ricerca a quella parte di volontariato ancora recuperabile, che oltre a raccogliere legalmente i reperti, tiene controllato gratuitamente il territorio e dà una mano alle forze dell’ordine che invece sono poche e costano tanto?
Invece di perseguire, non sarebbe meglio insignire di pubblica onorificenza quelle persone che collaborano e consegnano i reperti ai musei civici territoriali piuttosto che tenerseli?
Franceschini e Orlando non la pensano così, per loro bisogna mettere in galera tutti, purché siano Italiani, perché se sono stranieri e soprattutto clandestini, poverini, l’aspetto cambia.
Si vuole introdurre nuovamente il proibizionismo, sapendo che è un metodo già sperimentato in altri campi e che non funziona.
La legge Franceschini-Orlando, che il governo della passata legislatura sta cercando ancora oggi di far passare fra decreti mille proroghe e compromessi vari, deve essere completamente cancellata perché la vigente 22 gennaio 2004, n. 48 è già sproporzionata rispetto alle pene previste per altri tipi di reato e, se applicata correttamente, basta e avanza.

“MAGNIFICI RITORNI” AD AQUILEIA

È stata presentata a Roma la mostra “Magnifici Ritorni. Tesori aquileiesi dal Kunsthistorisches Museum di Vienna” che si inaugura sabato, 8 giugno, al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia. L’esposizione è organizzata dalla Fondazione Aquileia, dal Polo Museale del Friuli Venezia Giulia e dal Kunsthistorisches Museum di Vienna con il patrocinio del Comune di Aquileia e in collaborazione con Fondazione So.co.Ba per celebrare i 2200 dalla fondazione dell’antica città romana.
La mostra riporta sino al 20 ottobre ad Aquileia, a distanza di quasi 200 anni, alcuni tra i più importanti reperti archeologici restituiti dal ricchissimo sottosuolo aquileiese, attualmente esposti nella collezione permanente del Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Un viaggio nel tempo che, grazie ai 110 reperti del Kunsthistorisches, ci trasporta nell’Aquileia di 2200 anni fa ma anche nell’Aquileia dell’Ottocento quando la città era parte dell’Impero asburgico e le raccolte viennesi rappresentavano l’alternativa istituzionale al collezionismo privato delle famiglie locali e alla dispersione del materiale sul mercato antiquario.
(AISE 04 06 2019)
    
Link per leggere l’intero articolo di agenzia:        https://www.aise.it/modulo-pi%C3%B9-letti/magnifici-ritorni-ad-aquileia/131518/2

Come non approfittare dell’evento per dire qualcosa in proposito.
Un breve rimpatrio di un centinaio di reperti, portati a Vienna in epoca asburgica, quando Aquileia faceva parte del territorio austro ungarico non è un evento cui andare tanto fieri né un valido motivo per festeggiare. Sono materiali venduti o regalati al potere di allora che se li è portati via lontano da casa.
In quel tempo la spogliazione della città romana era di largo uso e di consolidata prassi, e chiunque poteva rivendere ai commercianti di antichità; l’affare ed il denaro non guardava in faccia nessuno e alla gente mancava completamente il senso civico del bene comune.
Oggi che non si può più e che non c’è quasi più nulla da vendere, le istituzioni non si curano nemmeno del sapere, degli studi e delle informazioni portate avanti da quelle persone che fanno gratuitamente ricerca paesaggistica, storica e topografica magari perché non fanno parte della loro elitaria ed esclusivistica casta burocratico-istituzionale, tanto che anche in questo settore chi opera da anticonformista deve rivolgersi a entità estere per esprimersi e per difendersi perché in Italia è diventato pericoloso anche studiare e fare cultura.
Cosa volete che importino 110 reperti prestati per qualche mese visto sono tutti oggetti che le istituzioni definiscono “decontestualizzati” che perciò non hanno più nessun valore storico, ma solo d’antiquariato e collezionistico. E noi che ci facciamo di questa roba? Ci rifacciamo solo gli occhi pensando alla data in scadenza e alla passata gloria? Probabilmente sì, mentre si continua a dequalificare e trascurare i valori di quelle risorse che lavorano sodo, ma che non hanno la mirabolante capacità di trasformarsi in denaro o in notorietà.

Non c’è più nessuno che sostiene l’archeologia.

L’archeologia istituzionale ha la parvenza di una religione, ma non lo è perché discrimina le persone; in passato ha respinto troppa gente e raccontato troppe bugie, tanto che ora è sola e non c’è più nessuno che la sostenga.
Le soprintendenze archeologiche e gli atenei universitari di storia antica d’Italia sono allo sbando, sono un clero senza fedeli, senza seguaci e senza idee, a cui nemmeno il popolo laico della sussidiarietà sociale crede più.
In questi anni uno sparuto drappello di studiosi alternativi, culturalmente dissociati hanno dimostrato a tutti che è impensabile credere di poter fare archeologia senza fare ricerca, senza scendere sul territorio, senza frequentare ogni paesello, senza percorrere ogni viottolo di campo e ogni cucuzzolo di altura, senza visitare ogni chiesuola campestre o montana, senza esplorare i dintorni di ogni cimitero, senza prendere nota di ogni avvallamento, rialzo o anomalia del terreno, senza mettere su mappa e per iscritto ogni informazione.
E stanno dimostrando che è impensabile pretendere di fare tutela dei beni e delle attività culturali stando seduti ad una scrivania in attesa che succeda qualcosa, o che qualcuno faccia loro qualche segnalazione insolita per rimescolare le congetture che non trovano riscontri nella realtà.
Gli scavi, che le istituzioni vedono sempre come esordio, sono cose che devono venire dopo, prima bisogna fare la ricerca, e loro la ricerca non la fanno; aspettano sempre qualche disturbo esterno per sentirsi obbligati a promuovere qualcosa.
Per similitudine, il clero non vale nulla all’interno di una religione senza il popolo dei fedeli; il popolo senza clero invece può campare lo stesso e anche vivere bene. Così il mondo dell’archeologia ufficiale, che ai nostri occhi oggi può sembrare più una setta che una religione, tanto è concentrata sui suoi adepti, tanto è chiusa e tanto è elitaria, se alla fine non trova un popolo di seguaci non serve a nulla. Il popolo invece può benissimo fare da solo, sbagliando di più naturalmente, come un fedele senza clero, ma ce la può fare lo stesso.
Infatti, quelli che un tempo dialogavano, oggi tacciono, non disturbano più, producono in proprio le loro convinzioni e pubblicano i frutti delle loro ricerche senza chiedere il permesso a nessuno.
E tali opere rimarranno incontestabili fintanto che le istituzioni non recupereranno la conoscenza del territorio che sono chiamate a tutelare.

I ricercatori dilettanti

Si ricordi la giunta regionale nel legiferare sulla cultura e sull’archeologia, che le maggiori scoperte in regione sono state fatte nel tempo da ricercatori dilettanti e che gli scavi che hanno portato a ritrovamenti importanti sono partiti quasi sempre da segnalazioni di ricercatori dilettanti.
I ricercatori dilettanti, da non confondere con i tombaroli o con i trovarobe da picnic, sono sempre stati maltrattati dalle soprintendenze nonostante fossero dei veri attivisti culturali, disinteressati e collaborativi. Costoro sono sempre stati gli artefici di ogni slancio della ricerca regionale e nonostante siano ridotti a poche unità continuano a lavorare facendo tesoro dei frutti della loro attività. Solo costoro girano e controllano il territorio e rilevano i cambiamenti e le trasformazioni che l’ambiente ed il paesaggio subisce continuamente.
Nel legiferare, la politica si ricordi di loro, trovi il modo di tutelarli.
In genere non fanno parte di organizzazioni di volontariato convenzionali perché in tali organizzazioni finiscono tutte le persone senza idee, che non fanno nulla e che delegano soltanto.
Non fanno parte di onlus di prestigio perché queste sono solo delle mangiatoie e luoghi di sperpero di denari pubblici: ricettacolo di illustri politici decaduti.
Essi lavorano gratuitamente e non chiedono rimborsi per un’attività che nessuno ha chiesto loro di fare, ma che dal loro lavoro e dalle loro idee spesso nascono gli spunti che portano avanti la cultura e la storia di una intera regione.

La cultura in Italia

La Società degli Archeologi Medievisti Italiani (SAMI) ha istituito, a partire dal 2013, un premio intitolato alla memoria del professor Riccardo Francovich, conferito al museo o parco archeologico italiano che, a giudizio dei propri Soci e dei cittadini partecipanti alla votazione, rappresenta la migliore sintesi fra rigore dei contenuti scientifici ed efficacia nella comunicazione degli stessi verso il pubblico dei non specialisti.  https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwjWr4XCvPPfAhVDXxoKHb_jBz0QFjAAegQICRAB&url=http%3A%2F%2Farcheologiamedievale.unisi.it%2Fsami%2Fpremio-riccardo-francovich-2019&usg=AOvVaw2sw3Cmt1_6Thvzg_1itZS1

Prendendo spunto da questo evento vorrei avventurarmi in qualche funambolica considerazione sulla desiderabilità e la fruibilità della cultura in Italia.

A cosa serve premiare una struttura o un’entità per essere stata capace di comunicare il linguaggio cifrato e complicato degli specialisti a dei poveri ignoranti, quali sono genericamente considerati dalle istituzioni tutti i non specialisti?
È meglio adottare in partenza un linguaggio semplice e forbito, comprensibile a tutti, così da non dover scomodare la gente in valutazioni distraibili che possono non rispondere alla realtà.
Il pubblico gradisce una divulgazione semplice, lineare, espressa con prosa affabile e cordiale, che sia esso composto da non specialisti, o da specializzandi; così facendo si insegna a tutti ad essere chiari. Il linguaggio criptato è tipico del medio evo e dei periodi oscuri, quando non si vogliono permeare idee, concetti e informazioni ad altra gente, cioè al pubblico dei non specialisti.

In una nazione quale la nostra, stracolma di spunti e di delizie culturali, genera orrore la spaventosa assenza di attenzione da parte della gente adulta per gli eventi, per le strutture e per le comunicazioni. Essa ha inizio dalla fine della scolarizzazione e si prolunga generalmente fino all’inizio della quiescenza del cittadino.
Entro questo periodo di tempo che dura circa una quarantina di anni, nel tempo libero gli italiani non si occupano di argomenti che si riferiscano alla cultura né intraprendono un hobby con tale orientamento; preferiscono di gran lunga lo sport e l’enogastronomia; eccezionalmente, come forme di distrazione, il cinema, la musica ed i concerti, e poi molto volontariato nell’ambito socio assistenziale. Cultura di altro tipo zero!
Proviamo a chiederci quale percentuale di italiani sarebbe disposta a rinunciare ad una partita di calcio o ad una grandiosa abbuffata per visitare una mostra o un museo?  Ho timore che essa sia molto bassa.
In che orari e con quale frequenza i media di stato trasmettono format culturali come Quark, Ulisse, Passaggio a Nord Ovest, TGR Leonardo ecc.? solitamente quando la gente è al lavoro o quando ha bisogno di dormire e dato che i programmi culturali stentano a fare audience perché agli italiani manca la cultura della cultura, non si riesce mai a conciliare il bisogno di imparare o di sapere con i tempi e i metodi di comunicazione.
E le università e le soprintendenze quanti libri producono con l’intento di invogliare i non specialisti con pubblicazioni storiche e culturali di alto livello comprensibile a tutti ed amabili anche per le persone meno colte? Temo nessuno; tali pubblicazioni sono prerogativa di autori privati e non di iniziative pubbliche.
Le pubblicazioni delle istituzioni si limitano ai cataloghi delle mostre ed ai pieghevoli dei musei nell’atto di reclamizzare e pavoneggiare se stessi, e di cui il consumatore tipico è straniero.
In Italia inoltre manca la libertà di divulgazione; tutto è sotto il controllo monopolizzato dello Stato centrale, in mano a funzionari che non si curano delle peculiarità locali e della configurazione logistica dei singoli territori e non sono in grado di acquisirla perché vi rimangono troppo poco tempo. La capacità di scrivere con parole comprensibili a tutti è in mano a cultori privati, come quasi tutti i format televisivi.
In Italia le capacità imprenditoriali dei privati nel settore culturale vengono sacrificate in nome di una ius cogens che ha origine nella burocrazia statale e dove, ad ogni ritocco della legge, diventa sempre più difficile e improponibile cogliere qualche opportunità.

All’Italia manca il cervello e manca la quasi totalità degli italiani nella veste di recettori della cultura. Ci si domanda se abbia un senso stabilire se ci sia una struttura o un’entità che rappresenti la migliore sintesi fra rigore dei contenuti scientifici ed efficacia nella comunicazione degli stessi verso il pubblico dei non specialisti, quando ai più manca il substrato in cui germoglia questo tipo di coscienza, a causa della burocrazia e delle leggi che ha contribuito a far produrre.

Non me ne vogliano i soci del SAMI se ho preso spunto dalla loro iniziativa per le mie considerazioni, e soprattutto per la memoria dell’archeologo e storico Prof. Riccardo Francovich a cui non intendo mancare di rispetto.

Soprintendenza regionale?

Le notizie che trapelano dalla stampa quotidiana sulla richiesta di acquisire il controllo della Soprintendenza regionale mi sembrano buone e di ottimo auspicio, finalmente potremmo avere un ente che fa gli interessi del cittadino e non della burocrazia bacchettona del “guai a ogni cosa!”
Ma prima bisogna ridare dignità alla Soprintendenza che in FVG è stata dequalificata e spogliata delle sue prerogative a vantaggio delle ong aquileiesi. Si è vero che la gestione di un sacco di risorse sono state deviate per manifesta incapacità degli organi periferici del Ministero dei Beni Culturali, ma sarebbe stato meglio tentare di cambiare le persone prima di cambiare il sistema.
Bisogna chiudere i rubinetti dei soldi pubblici dati in gestione a certe organizzazioni di volontariato.
Le organizzazioni di volontariato aquileiesi devono vivere di proventi propri e di sovvenzioni alla pari di tutte le altre associazioni, cioè di 5xmille, di contributi privati, di quote di tesseramento e di proventi da attività sociali. I soldi pubblici devono essere gestiti da persone oneste e competenti, non dai soliti marpioni della politica che si intrufolano dappertutto dove c’è qualcosa da pappare.  Il governo Serracchiani è stato il classico esempio di foraggiamento a pioggia a favore di “covi di parte” e di associazioni gremite di politici trombati. Bisogna dare un segno di discontinuità con questo metodo.
Ricostruire la Soprintendenza secondo le esigenze regionali, sostituendo i burocrati incalliti e di professione con gente pratica, attiva e competente; individuare, recuperare e valorizzare i cittadini impegnati e conoscitori del territorio perché sono una preziosa e inesauribile fonte di informazioni; finanziare solo le startup e le iniziative con progetti di vera ricerca e di divulgazione in ogni ambito della cultura regionale.
E poi, lasciatemelo dire, finanziate e fate fare dei corsi anti stupidità e anti ignoranza a quei politici che si devono occupare di beni e di attività culturali: se sono come quelli del governo passato, ne hanno veramente bisogno!

La nuova legge contro i tombaroli

È apparso sui giornali regionali un articolo che annuncia la prossima conversione in legge di un vecchio decreto firmato dai PD Franceschini e Orlando e che produce l’inasprimento delle pene verso i tombaroli ed i trafficanti di antichità.
Se da un canto non si può che plaudire per l’approvazione di una legge di tutela per i beni culturali, dall’altro canto si deve essere profondamente preoccupati per gli sviluppi che essa potrà portare nel vivere quotidiano di chi fa, o che si occupa di cultura.
Sembra scritta da degli emeriti idioti, così come tali sono coloro che, dai meandri della burocrazia, l’hanno suggerita. Essa è piena di incongruenze e di passaggi incomprensibili e andrà a colpire principalmente persone che vivono onestamente di antichità, che lavorano e producono reddito in un paese dove l’arte e la cultura sono un piatto apprezzato quanto la cucina e la dieta mediterranea.
Lo Stato non può arrogarsi il diritto di decidere arbitrariamente di che cosa appropriarsi.
Chi possiede legittimamente delle antichità deve avere il diritto di farne quello che vuole, cederle, venderle e (assurdamente) anche alienarle se sono cose sue. Se io ad esempio possiedo una collezione di fiammiferi antichi di pregio e di infinito valore e con uno di essi voglio accendermi una sigaretta, lo stato potrà ritenere che sono un pazzo, ma non deve impedirmelo.
Anche se voglio acquistare un metal detector, (lo strumento incriminato per antonomasia da questa legge) lo Stato non me lo deve impedire; se poi io lo uso in luoghi culturalmente protetti (aree archeologicamente vincolate) allora mi deve sanzionare. 
Ho ereditato dal mio genitore, per fare un altro esempio comparativo, vari fucili da caccia, che conservo con amore e attenzione in sua memoria; non per questo mi sento un criminale né un delinquente, né nessuno pensa di condannarmi per detenzione di armi.
Posseggo anche vari modelli di metal detector che ho comprato per uso professionale e che ho usato nell’arco di quarant’anni di attività anche per le mie ricerche archeologiche dilettantistiche; volete che qualcuno venga ad arrestarmi per questo? I frutti della mia ricerca con questi strumenti sono esposti e ben visibili in vari musei della regione e non ho proprio nulla di cui vergognarmi.
La legge che porta la firma di Franceschini e Orlando invece è come nel loro stile: vergognosa, iniqua e vessatoria, non tiene conto di un sacco di parametri e distinzioni, farà un mucchio di danni, provocherà molte ingiustizie e soprattutto non risolverà il problema dei tombaroli.
Sembra scritta più con i piedi e con il culo, che con le mani e con la testa.
È frutto più dell’odio che certi funzionari istituzionali nutrono per gli acculturati dilettanti un po’ insubordinati, piuttosto che per coloro che raccolgono nei campi quel che resta dei nostri avi.

Invece di aprire le concessioni ministeriali di ricerca e raccolta a persone fidate, volenterose e oneste che contemporaneamente terrebbero controllato il territorio gratuitamente, (tanto lo Stato non può, non vuole e non ha i mezzi per farlo) si preferisce passare al terrorismo, alle diatribe e alle scaramucce, che faranno sicuramente più di qualche danno collaterale, ma che le istituzioni alla fine non vinceranno! 
Voltatevi indietro baggiani e stolti, la storia insegna!!!

Ronchi dei Legionari ha preso il volo!

In questo scorcio di fine anno 2018 il Comune di Ronchi dei Legionari ha pubblicato sul suo sito ufficiale la Viabilità Antica del territorio tra il fiume Isonzo ed il fiume Timavo.
Sembra un evento di poco conto e di piccola rilevanza, invece è un fatto importantissimo per lo studio e la ricerca dilettantistica non istituzionalizzata che vede premiato l’impegno e la dedizione al territorio dei ricercatori locali, quelli che l’istituzione di tutela archeologica paragona ai tombaroli.
Per la prima volta un comune regionale sceglie e preferisce la innovativa e fresca ricerca storica e topografica prodotta da dilettanti, a quella vecchia, obsoleta e stantia prodotta dalle istituzioni.
I pochi e veri veterani dell’archeologia regionale hanno fatto un balzo di qualità e hanno dimostrato che non c’è modo di progredire negli studi senza fare ricerca. Chi non scende sul territorio per occuparsi del paesaggio e di quello che ancora può dare, non può produrre nozioni credibili e rischia sempre di essere sconfessato e sbugiardato.
La tecnologia grafica inoltre dà ad ogni persona sveglia la possibilità di auto pubblicarsi, cosa che fino a pochi anni orsono non si poteva fare, così che chi fa ricerca non deve temere più che i volponi della cultura si approprino indebitamente delle loro scoperte.
Il comune di Ronchi dei Legionari ha fatto benissimo a diffidare delle solite minestre trite e ritrite, rimescolate mille volte dagli organi istituzionali e dai docenti universitari ingessati, e a dare credito invece a in chi fa ricerca diretta e conosce bene il suo territorio.
Le carte topografiche a cura di A. Scarpa e le didascalie a cura di D. Cencig e R. Pantarotto portano un’aria di assoluta novità per le conoscenze archeologiche della nostra regione ed anticipano una serie di cartelli guida che verranno installati nei punti nevralgici del comune.
Essi riporteranno tutti i tracciati viari antichi e l’ubicazione delle enormi ville residenziali con mosaici installate in questa interessantissima e frequentatissima area sud orientale della nostra regione.
Anche le altre amministrazioni comunali dell’Isontino potranno attingere alla stessa fonte e usare lo stesso metodo per divulgare le conoscenze ai loro cittadini ed ai turisti.

Ecco il link per visitare il sito di Ronchi:     http://www.comuneronchi.it/index.php?id=44665&L=0

La Teoria di Darwin e la tecnologia

Nella teoria dell’origine e dell’evoluzione della specie di Darwin vi è una principio universale che recita più o meno così:
Nella selezione naturale hanno molte più probabilità di sopravvivere coloro che si adattano più rapidamente ai cambiamenti.
Gli argomenti a cui è applicabile questo principio sono infiniti; la scienza insegue continuamente mutazioni di ogni genere, la biologia, la medicina, l’economia. Anche la tecnologia con l’elettronica informatica non vi sfugge, la comunicazione mediatica ha mutato volto, abbiamo tutto in tasca, tutto sul telefono, tutto nel computer: TV, giornali, meteorologia, novità, tutto in diretta, tutto in streaming, tanto che stiamo diventandone vittime, ma guai a restare indietro.
Con il telefono puoi fare di tutto, puoi fare foto, puoi fare filmati, puoi fare i conti, puoi tenere l’agenda degli impegni, puoi mettere i promemoria, la sveglia, la rubrica, puoi mandare messaggi, puoi comprare, puoi pagare, puoi scrivere qualsiasi cosa, puoi leggere libri e alla fine puoi anche telefonare! 
Per pochi soldi al mese puoi comunicare 24 ore al giorno, 7 giorni su 7.
Le persone anziane guardano questo turbinio davanti ai loro occhi con terrore, non capiscono come e cosa fare con tutti questi Pin, con queste Sim, con questi codici; hanno sì bisogno di un telefono per chiamare soccorso, ma con i tasti sempre grandi: hanno bisogno di un apparecchio acustico che funzioni, di una televisione che non li bombardi continuamente con la pubblicità, hanno bisogno soprattutto di silenzio e normalità.
La teoria di Darwin, vista in questi termini è completamente stravolta, è diventata un frullatore dove non ci si raccapezza più, dove manca completamente la ragionevolezza.
Ma di cosa abbiamo veramente bisogno noi per stare a passo con i tempi, ammesso di avere una mente aperta e una predisposizione ad accogliere il progresso informatico e tecnologico?
Internet ha sconvolto il nostro mondo, ma se guardiamo con attenzione quello che ci offre vediamo che ha enormemente semplificato il nostro modo di vivere; è come un frutteto misto in cui ognuno può cogliere il tipo di frutto che vuole, quello che gli serve o che gli piace: possiamo scegliere ad esempio se uscire per fare una passeggiata al parco invece di fare una coda ad uno sportello. Possiamo scegliere se comprare un libro di carta o leggere gratis lo stesso libro sul monitor magari comodamente seduti in poltrona. Possiamo scegliere di rivedere un film o una trasmissione TV che ci è piaciuta quando lo desideriamo; possiamo parlare, guardandoci in faccia con persone che si trovano dall’altra parte del mondo. Possiamo fare la spesa al supermercato e farci consegnare la roba a casa; possiamo farci mandare il pranzo pronto; possiamo andare in giro senza più denaro in tasca e pagare con una carta di credito, con un codice a barre sul telefono o con l’impronta del nostro dito. Soprattutto possiamo spegnere tutte queste cose e farci un pisolino o una sana dormita senza che nessuno ci infastidisca.
Se la nostra non è una mente aperta alla tecnologia, intorno a noi possono esserci mille persone disposte ad aiutarci e a renderci la vita più semplice, basta che abbiamo il coraggio di chiedere aiuto.
Anche dare o ricevere aiuto può essere un modo e un’occasione per socializzare e per intessere rapporti con le persone; in fondo non tutti hanno la possibilità e l’opportunità di accedere ai servizi attraverso l’informatica e quindi c’è bisogno di socializzazione, di comprensione e di altruismo.
In questo modo l’evoluzione darwiniana, anche se accelerata al massimo, può disporre di tempi abbastanza ragionevoli per scegliere tra quello che è superfluo e quello che è necessario. In fondo, uno dei principi fondamentali dell’evoluzione è quello intrinseco di ricercare il massimo profitto con la minima spesa, e non solo in senso economico.
I servizi tecnologici, dopo l’acquisto delle apparecchiature, costano poco e ci semplificano la vita.
I profughi che giungono da noi arrivano senza acqua, senza cibo, vestiti di stracci, ma quasi tutti con lo smartphone o con il satellitare in tasca. Hanno imparato prima di noi che il futuro è tecnologia e comunicazione e la comunicazione, ancorché disturbata da infinite inutilità, è la porta obbligata verso la futura sopravvivenza.

Anche la cultura è destinata all’accelerazione, sia per chi la consuma come per chi la produce e le istituzioni sono perennemente all’inseguimento dei privati che vincono sempre sullo scatto di partenza. Si salvano in corner solo perché taluni settori dell’ambiente culturale sono incredibilmente e ingiustamente monopolizzati.

L’archeologia oggi.

Deve piacerti da morire se qualcosa ti spinge a studiare, a laurearti e a puntare il tuo futuro in una disciplina culturale come l’archeologia. Deve essere visceralmente radicata dentro di te se vuoi fare di essa la ragione della tua vita. Se così non fosse, scegli un’altra strada, di certo non te ne pentirai. L’archeologia è una disciplina autolesionistica, fa del male a chi la pratica per professione, perché rende poco o quasi nulla. Chi spera di diventare ricco facendo l’archeologo commette un grosso errore perché l’attività dell’archeologo conduce spesso alla povertà e al disagio. L’ambiente di lavoro è di per sé pessimo; i colleghi e i superiori sono generalmente nepotistici, sono tendenzialmente ostili o comunque poco collaborativi; essi ti condurranno alla consapevolezza di una profonda inadeguatezza professionale.  
Chi nonostante tutto persevera, è spesso costretto ad accettare condizioni impossibili pur di tirare avanti, cedendo ad altri gli onori di eventuali risultati raggiunti. Quello archeologico non è un bell’ambiente nel quale sperare di raggiungere fama e onori, ma un purgatorio per peccati non commessi.

Ragazzi, non studiate archeologia per campare, ma vivete facendo altro, nella speranza di trovare domani il tempo e le risorse per fare un'archeologia di piacere. Non lasciatevi circuire da chi vi dice il contrario: è un bugiardo che vi vuole imbrogliare e vi farà del male.
Tra moltissime persone che conosco, laureate in questa disciplina, pochissime hanno continuato ad esercitare, tra infinite difficoltà burocratiche e assurde pretese istituzionali, tra impossibili adempimenti fiscali e incredibili ritardi nei pagamenti da parte degli enti pubblici committenti. Gli altri hanno abbandonato speranze e sogni e hanno cambiato mestiere.
Questa disinteressata opinione è frutto dell’attenta osservazione delle realtà periferiche di un’istituzione ministeriale marciscente, portata avanti con sistemi clientelari e non meritocratici, dai peggiori burocrati disponibili sulla piazza, intenti a rovinare quel poco di buono che c’è ancora tra le risorse umane distribuite sul territorio italiano.
Il bene culturale archeologico, secondo i visionari del ministero, doveva divenire il business per una grande schiera di neo laureati che avrebbero occupato ogni spazio della ricerca, dello scavo, del restauro, della catalogazione, della gestione e della divulgazione. In realtà è stato il più grosso fiasco che il sistema scolastico nazionale poteva inventarsi: sono pochissimi coloro che hanno potuto trarre vantaggio e spesso senza averne il merito.
La ricerca ufficiale non la fa nessuno! Non ho mai visto archeologi e funzionari andare in giro per il territorio alla ricerca di nuovi indizi o di nuovi oggetti. Gli scavi costano moltissimo, anzi troppo, e spesso sono promossi solo dagli atenei universitari per istruire i neo laureandi in un mestiere che poi non faranno mai o che comunque non darà loro da vivere. Di conseguenza, restauro, catalogazione e divulgazione restano bloccati dall’assenza di eventi.
La vera ricerca la fanno solo gli appassionati, radicati sul territorio. Un tempo essi erano collaborativi con le istituzioni, ma visto che sono stati maltrattati ed estromessi da ogni compartecipazione, si tengono alla larga dai funzionari, si tengono per se le notizie e se le divulgano da soli. Sono finiti i tempi in cui i furboni aspettavano al varco i raccoglitori locali, come fanno le volpi con le galline, per carpire loro le novità ed impossessarsene.
Non funziona più cosi, la tecnologia ha avvantaggiato gli appassionati e penalizzato gli istituzionalizzati.

I ragazzi che si apprestano a scegliere la strada per la loro vita sappiano che l’archeologia non paga, e se proprio non possono farne a meno, siano coscienti dei grossi rischi a cui vanno incontro.

Disonestà intellettuale

Non sottovalutate gli autodidatti culturali perché il loro sapere e la loro esperienza valgono di più delle congetture e delle supposizioni fatte a tavolino da coloro che non sanno nulla dell'ambiente in cui sono chiamati ad operare.

Ci sono persone che conoscono a menadito ogni luogo, ogni anfratto del territorio in cui vivono, che possiedono un patrimonio di conoscenza, e conservano nella loro mente nozioni che nessun altro ha. Non snobbate queste persone, non deridetele, anche se alle volte possono sembrare strane e bizzarre, e soprattutto non approfittatevi di loro e del loro sapere senza renderne merito e riconoscenza perché prima o poi si rifaranno dei torti subiti.

Recentemente ho voluto conoscere meglio una persona che stimavo e che in segreto invidiavo per il suo trascorso e per il suo sapere e ho potuto verificare le sue grandi capacità, la sua grande disponibilità e purtroppo anche il suo risentimento verso le istituzioni parassite 

Certi accademici, archeologi e funzionari, che si ritengono titolari del sapere, abbandonino la loro hybris perché è segno di disonestà intellettuale.

Perché pubblicare in Nigeria.

Chissà quanti visitatori di questo sito si saranno chiesti perché l’amministratore ha scelto di pubblicare libri e scritti culturali in un paese del terzo mondo.
È un fatto insolito, ma pur sempre spiegabilissimo e logico. È solo per questione di praticità.

L’Italia è una nazione splendida dove l’ambiente, il paesaggio, la cultura ti danno moltissimo, e spesso ti fanno rimane a bocca aperta. Diversamente certi italiani non sono altrettanto splendidi; fanno leggi e regolamenti complicati e insostenibili che mettono in difficoltà il cittadino e non lo lasciano vivere.

Nel mondo dell’archeologia italiana è obbligatorio chiedere il permesso dello stato per qualsiasi cosa. Hanno burocratizzato tutto, anche il pensiero e le idee; senza il permesso tutto è vietato a prescindere.
Se si vuole scrivere ad esempio un articolo e inserire una fotografia di una qualsiasi cosa che appartiene a tutti noi, si deve fare formalmente domanda e attendere il consenso; se non si riceve risposta non si può fare nulla perché per il semplice cittadino non vale la clausola del silenzio assenso. 
Figuriamoci per scrivere libri divulgativi che contengano molte immagini.

Allora, per aggirare l’ostacolo, l’amministratore ha scelto di pubblicare all’estero. Ma non all’estero in Europa, perché i trattati comunitari fanno valere le leggi anche fuori dai confini nazionali; all’estero in un paese dell’Africa, dell’Asia, del Medio Oriente, del sud America dove le persone con cui è in contatto sono irraggiungibili da ogni itala bizzarria. Internet e la sua rete internazionale completano l’opera.
La scelta della Nigeria è stata del tutto casuale; un amico lo ha messo in contatto con una piccola casa editrice africana; ha comprato i diritti per usare liberamente e per molti anni il loro nome e così si è presto liberato del contorto e farraginoso sistema burocratico italiano.
Adesso pubblica in modo indipendente, mantiene relazioni e contatti con molte persone interessanti. La sua è una posizione privilegiata che gli concede molte opportunità. Si rammarica solo di non averci pensato prima.

Gli Avvicendamenti

Gli avvicendamenti degli organi periferici del ministero dei beni culturali sono eventi deleteri per le associazioni e le organizzazioni di volontariato.
Ogni qualvolta viene cambiato un funzionario territoriale, in quel territorio inevitabilmente ricominciano le incomprensioni, le prese di posizione, le diatribe. Col tempo tutto si acquieta, ma poi puntualmente si ricomincia da capo.
Le associazioni archeologiche sono entità legalmente costituite, perché nessuna legge le vieta, ma non possono fare quello per cui sono costituite perché la legge lo vieta.
Esse spesso svolgono attività marginali di supporto e di servizio ad altre attività più importanti, quali ad esempio l’apertura e la custodia dei musei civici territoriali privi di personale oppure la manovalanza nelle aree di scavo a supporto degli archeologi, oppure la pulizia dalle erbacce infestanti nelle aree di scavo musealizzate a cielo aperto, ma non possono mai intervenire in modo diretto a nessun evento di natura scientifica anche di infima qualità quale ad esempio il chinarsi per raccogliere qualcosa, tipo un coccio, un frammento di mattone o qualsiasi altro reperto dalla terra.
Siamo di fronte ad un paradosso, ad un dilemma incomprensibile e insormontabile per cui diviene difficile comprendere fino in fondo quali siano i confini entro cui il cittadino che fa parte di queste organizzazioni può muoversi senza sconfinare nell’illecito.
La legislazione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali è strutturata in modo da definire ogni cittadino fuori controllo, un potenziale delinquente, bramoso di appropriarsi e tenere per sé ogni oggetto antico che gli capiti tra le mani.
Ancora peggiore è il cittadino che oltre a questo, decide di acculturarsi da sé studiando abusivamente le cose antiche senza averne il consenso.
Tra i funzionari del ministero regna la burocrazia assoluta e vige il terrore di sbagliare.
Qualsiasi atto deve avere l’imprinting al massimo livello e quindi deve essere vistato dal livello superiore che scarica l’onere della responsabilità sempre al suo superiore. Tutto deve arrivare ed arriva a Roma, (comprese le domande per andare al bagno).
Chi sbaglia paga, infilzato dagli stessi colleghi di ufficio che non aspettano altro.
In questo ambiente così sereno vengono prese le decisioni sui rapporti con il volontariato; immaginiamoci chi si voglia prendere la responsabilità di agire di sua iniziativa! ........ nessuno!
Le associazioni quindi vengono tenute alla larga, vengono osservate da lontano, devono farsi vedere il meno possibile, non devono spiattellare la loro attività, specie se dedite come è di prassi, alla raccolta abusiva, con (o senza) il metal detector, dei reperti decontestualizzati provenienti dai terreni arativi. Tutti sanno, ma sono costretti a lasciar correre, non essendoci una soluzione, e anche perché, tutto sommato, questo lavoro può fare comodo.
Di tanto in tanto si ricomincia da capo: qualche funzionario viene o chiede di essere trasferito, avviene un avvicendamento, il nuovo arrivato non conosce l’ambiente, agisce con cautela, ricomincia la trafila delle incomprensioni, arrivano nuovamente le intimazioni ad astenersi da qualsiasi attività illecita e avanti così per mesi, a volte per anni, fintanto che col tempo pian piano tutto nuovamente si acquieta e si riprende a lasciar correre.

Ma vi pare possibile che si debba vivere in questo modo? Eppure è così che si vive oggi.

Per porre le basi ad una soluzione del problema, basterebbe ad esempio partire dal presupposto che ognuno sia una persona onesta e non un delinquente.  Tutto acquisterebbe un altro colore e la soluzione, con nuove regole e nuove prospettive, non tarderebbe ad arrivare.
Ma la burocrazia non vive di logica, vive di potere, di interessi e di compromessi, che oggi in questo ambiente sono quasi impossibili da sradicare.

La memoria storica

La memoria storica di un territorio è una componente del bene culturale che si trova in pericolo perché spesso allocata in contenitori che sono stati allontanati dal contesto strutturale costruito dalla società.

Prendiamo ad esempio i beni culturali mobili, quelli che possono essere spostati, locati altrove; essi sono beni legati al luogo di origine o a quello di ritrovamento, legame che non può essere loro tolto, pena la perdita di ogni profondo senso di appartenenza al luogo stesso.
Per lo stesso concetto non si può privare i luoghi della loro memoria storica tagliando il legame con le persone che li hanno vissuti.

Nel marasma delle leggi prodotte dalla nostra società per assicurarsi la proprietà dei beni culturali, i legislatori non si sono minimamente preoccupati della conservazione dei legami che intercorrono tra i beni, i luoghi e i probi cittadini.  Hanno decretato che questi beni, oltre che appartenere obbligatoriamente allo stato, non possono essere gestiti da questi cittadini nemmeno se fanno parte di associazioni culturali di grande spessore, nemmeno se dimostrano per essi un profondo e incondizionato amore.

La cultura però non è un elemento freddo, vive di calore, di sentimenti e di emozioni, particolari che la burocrazia, chiamata a sostituire questi soggetti, è incapace di dare. E’ incapace di generare quella meraviglia e quello stupore che appare sui volti dei fortunati che hanno il privilegio di scoprire qualcosa di importante, ed è incapace di mantenere intatto quel filo che subito si forma tra gli oggetti, le persone e l’ambiente che li contiene.

La scuola non insegna nulla di tutto questo, anzi insegna a ostacolare quelli che vogliono praticare la cultura in modo diretto e attivo sostenendo che è compito dei soli accademici, degli specialisti, dei titolati; la stessa scuola che ha illuso migliaia di ragazzi promettendo loro un posto di lavoro nel mondo dei beni culturali ed oggi con amarezza dice loro di occuparsi di altro perché mancano le risorse.

Vorrei dire a questi studenti e ai loro insegnanti che il bene culturale oltre che oggetti è spesso una serie infinita di emozioni, di sensazioni, di informazioni, di dati allocati in memorie che si trovano lontano dal mondo accademico, talvolta evanescenti e a forte rischio di dissoluzione.

Prima di tentare di tutelare le cose è necessario riavvicinare questa parte emarginata della cultura, è necessario salvare i rapporti con le persone perché molte di esse sono la memoria storica del territorio, perché ci vivono dentro e ne conoscono ogni dettaglio, perché hanno partecipato ad ogni evento sociale, umano, storico e perché anche da loro potrebbe nascere una prospettiva nuova che possa riaccendere la speranza nel futuro culturale del nostro prezioso e disastrato paese.

La cultura deve essere restituita a chi la ama.

25° anniversario di un libro che sembra non essere servito a nulla.

Così scriveva Serena Vitri nel 1986, in veste di soprintendente territoriale, nella presentazione del libro: "RICERCHE STORICO - ARCHEOLOGICHE NELLO SPILIMBERGHESE":

L'iniziativa del Comune di Spilimbergo, di cui questo volume è testimonianza, si colloca in un quadro di nuovi rapporti di collaborazione tra Enti Locali, Università, e Soprintendenza nella difficile opera di difesa e valorizzazione del patrimonio archeologico regionale, in un'ottica di tutela attiva del territorio.

La zona oggetto dell'indagine era tra le più ingrate del Friuli da un punto di vista archeologico: scarsissimi erano i complessi noti e studiati e difficile l'opera della Soprintendenza, dotata di scarso personale e di mezzi non sempre adeguati, e ostacolata dall'attività di ricercatori abusivi, solo parzialmente tenuti a freno da gruppi locali ben intenzionati. Tanto più meritorio si deve considerare pertanto il lavoro promosso dal Comune di Spilimbergo e condotto dalla Cooperativa Archeoproject. La ricerca, compiuta a contatto con docenti dell' Università di Trieste e con la Soprintendenza Archeologica, che ha finanziato l'inventariazione di parte dei materiali, ha portato a risultati di notevole rilievo e alla formulazione di ipotesi stimolanti per quanto riguarda l'economia e l'organizzazione del territorio di Spilimbergo tra preistoria e alto medioevo. Di particolare interesse risulta la metodologia utilizzata per la ricerca sul campo, ancora nuova per la nostra regione, ma applicata con successo sia all'estero che, più recentemente, in varie regioni d'Italia e comprendente: studio preliminare di carte topografiche e pedologiche, e parallelamente di foto aeree, ricerche d'archivio, survey sistematico, attuato anche con l'aiuto dei ricercatori locali più sensibili e disposti alla collaborazione, rilevamento su quadrettatura degli spargimenti superficiali relativi ai complessi principali, catalogo completo di siti e reperti……….

Basta scorrere le pagine, in tale occasione tutti si ringraziarono tra di loro, il comune con i suoi tecnici, la biblioteca civica, la provincia, la regione, l'università, la soprintendenza, la cooperativa, tutti furono lodati, tutti tranne i ricercatori locali che, senza limiti di disponibilità alla collaborazione, segnalarono i siti, portarono i soci di Archeoproject in giro per i campi, e li aiutarono a compilare la lista dei reperti.
Senza l'opera dei ricercatori locali gli archeologi avrebbero trovato poco più di niente.
Eppure quelle righe sembravano evocare la conquista della luna: metodi rivoluzionari e avveniristici con termini anglosassoni, archeologi preparatissimi che avrebbero individuato con i satelliti, con le foto aeree, sulle mappe, negli archivi (e un minuscolo insignificante aiutino dei ricercatori locali), ogni più piccola evidenza archeologica.
La loro illusione si infranse già qualche giorno dopo la presentazione del libro, quando, vista la totale esclusione dei volontari dai convenevoli ringraziamenti, comunicai ai redattori dell'opera di non aver segnalato a titolo precauzionale un enorme sito posto in comune di Spilimbergo.
Al capo della Cooperativa Archeoproject venne un colpo quando lo portai nel mezzo di un campo di mais e gli feci vedere uno spargimento di mattoni romani superiore ad un ettaro di superficie, che i suoi portentosi strumenti si erano dimenticati di vedere.

Ero stato previdente nell'immaginare che gli operatori di volontariato come me sarebbero stati esclusi, e pensare che sarebbe bastato qualche nome all'interno di una piccola nota a titolo di ringraziamento per trasformare un vergognoso scippo di informazioni private in una condivisione di meriti per avere svolto un lavoro impegnativo e serio.

Sono passati venticinque anni da allora e l'opera si è rivelata praticamente inutile perchè non è riuscita nemmeno a salvaguardare l'esistenza dei siti segnalati, uno dei quali addirittura posto sotto vincolo archeologico dall'ufficio tecnico comunale.   E questa sarebbe la tutela del patrimonio?
I politici venuti dopo e gli accademici, che tanto si erano premurati di auto compiacersi, pur essendo al corrente dell'esistenza di molte altre evidenze individuate successivamente, non sono mai venuti a chiedere di integrare l'opera delle parti mancanti.  Come mai?  O non gliene importa nulla o hanno la coscienza sporca.  E questo è il modo di soprintendere?
Nel 2008 è evaporato nel nulla un insediamento romano di discrete dimensioni che si trovava nei magredi di Barbeano, purtroppo sconosciuto nel 1986 e quindi non segnalato, nello stesso modo in cui erano gia spariti la Montagnola di Barbeano e Prapollastri a Tauriano che invece erano presenti nelle ricerche spilimberghesi.
Non parliamo poi del sito vincolato, che sotto la cotenna erbosa celava ancora parte dei ruderi della casa romana, arato dall'inconsapevole(?) proprietario che dopo la denuncia dello sbancamento ha avuto sì un mucchio di fastidi, ma ormai il danno è stato fatto.

C'è da chiedersi se questo libro sia servito a qualcosa o no, e se non sia ora che il comune e la biblioteca civica si attivino per riscriverlo integrandolo delle parti mancanti.  E' necessario rinfrescare la coscienza dei cittadini, soprattutto di quelli preposti a far rispettare le pubbliche normative, ma è necessario farlo riscrivere a quei ricercatori che tanta parte hanno avuto nella meritoria raccolta dei beni archeologici e delle informazioni sul territorio spilimberghese,  per riparare al grosso torto fatto venticinque anni fa.
Staremo a vedere.


Un ministero con il portafoglio vuoto

Non è per caso che il soprintendente ai beni archeologici del Friuli Venezia Giulia, partecipando ad un evento, si sia lamentato con i politici presenti del fatto che le acquisizioni di reperti abbiano quasi come unica fonte la ricerca di superficie e non lo scavo.  Ha fatto notare che la politica non si impegna per reperire quanto necessario per promuovere campagne archeologiche di scavo per portare ai musei reperti degni del loro nome.
Lo stesso soprintendente ha anche convocato gli istituti universitari, gli enti museali e le associazioni di volontariato regionali per valutare le reali possibilità (economiche) di riuscire a scavare.

Si perchè lo scavo ha un costo altissimo e ad esso sono ammesse solo quelle entità che sono in grado di produrre fondi (denaro), non per la loro capacità archeologica, ma per quella di saper mungere in qualche modo lo stato, le regioni o le fondazioni bancarie.
In definitiva la soprintendenza non ha soldi e non può fare nulla, è terribilmente impegnata a soprintendere il proprio stipendio, i costi di gestione della burocrazia e la difesa del proprio status continuamente minacciato dalle lotte intestine che la politica produce con i suoi ruffianismi.

Le associazioni di volontariato, uniche entità a non soffrire della crisi economica perchè lavorano gratuitamente, auspicano che in tale frangente si apra un po' di credito verso le loro attività, verso la valorizzazione del lavoro volontario, ma i loro auspici sono comunque destinati ad essere disattesi:
questa generazione di politici ottusi e incapaci non vorrà mai cedere la gestione anche di parte dei beni culturali alle associazioni o ai privati, non vorrà creare posti di lavoro privato nell'ambito della cultura, ma preferirà lasciar andare tutto allo sfascio nell'ottica del "tanto peggio tanto meglio".
             

 

Le associazioni archeologiche ed i beni culturali

Le associazioni archeologiche locali di volontariato nascono quasi sempre in seguito ad un ritrovamento, ad una scoperta, ad un evento significativo che segna un momento culturale importante di una città, di un territorio.

Ben presto imparano a destreggiarsi tra ricognizioni collettive, piccoli saggi di scavo, reperti e libri che riferiscono notizie storiche importanti. Con quello che trovano vorrebbero fare un museo nella loro città e spesso vanno in contrasto con le istituzioni che non permettono che nascano ovunque raccolte ed esposizioni.

Alcune associazioni vivono qualche anno e poi muoiono di morte naturale dimenticando lo spirito che le aveva fatte nascere;  altre invece, dopo essere riuscite a realizzare qualche piccolo progetto, si assestano nel loro essere e vivacchiano facendo di tanto in tanto qualcosa;  altre ancora, dopo qualche anno, si trasformano in fondazioni culturali che promuovono, che incentivano, che raccolgono fondi a favore, che pubblicano libri, ma che non fanno più ricerca attiva.
La realtà che sta davanti a noi è incredibile e patetica; di archeologia tra le associazioni non si parla quasi più e poi ci si meraviglia che sia poca la gente che si interessa di questa disciplina culturale e che alle conferenze che si tengono qua e la non partecipi nessuno.
Solo a chi ha pochi problemi e nulla da fare può venire in mente di occuparsene.

Quanto gretti e ignoranti sono i politici che ci governano!  Un popolo senza storia e senza riferimenti al passato è un popolo senza futuro!

Una timida apertura però sembra nascere nei progetti di alcune regioni a statuto speciale che sembra stiano dando credito alle associazioni e tentino di valorizzarle.  Sarà vero?

Il problema principale è la legislazione italiana in materia di beni culturali che impedisce l'esistenza di associazioni di privati cittadini libere di esercitare la ricerca archeologica e nello stesso tempo non garantisce nemmeno la sopravvivenza economica per coloro che  hanno inteso fare dell’archeologia una professione, costringendoli a stipendi da fame o all’esercizio di tutt’altra professione.

E non è la recessione economica la causa di tutto questo, ma la pessima gestione statale dei beni culturali, che impedisce di fatto qualsiasi mozione imprenditoriale, qualsiasi possibilità per i cittadini di accedere ad attività economiche improntate sui musei, sui reperti archeologici, sulle cose che lo stato si è arrogato proprietario a partire dal 1939.

Molto diversa avrebbe dovuto essere la legislazione, avrebbe sì dovuto impedire e vietare l’esportazione dei beni culturali, ma allo stesso tempo incentivare il cittadino alla loro valorizzazione e al loro sfruttamento economico come succede nelle nazioni civili ed evolute.

L’Italia, che ha beni culturali ovunque e più di ogni altra nazione al mondo, è totalmente incapace di gestire il suo patrimonio, di far lavorare migliaia di persone nell’ambiente dei musei e degli scavi e perfino di lasciar lavorare chi lo vuol fare gratuitamente.

 

Reperti di serie A e reperti di serie B

…"Purtroppo i materiali rinvenuti risultano essere privi di una qualsiasi contestualizzazione sia per il metodo usato per il loro rinvenimento, ossia la raccolta di superficie, sia per il fatto che in questa zona…."ecc ecc.

Questa è la classica frase atta a declassare i rinvenimenti degli archeologi dilettanti.

Ci si rammarica sempre che i materiali raccolti in superficie non possono godere del privilegio di essere stati trovati con cazzuolino e pennello da un dottore in archeologia in quel preciso centimetro quadrato dello scavo e in quella precisa unità stratigrafica minuziosamente documentata……. ma sono pur sempre dei degnissimi reperti antichi riferibili a precisi insediamenti, annotati con altrettanta cura dagli archeologi della domenica ai quali non può essere attribuita la causa della mancanza del contesto di scavo, ne si può pensare di accusare il contadino perchè ara la sua terra e sconvolge lo strato archeologico!
Sarebbe forse meglio lasciare la roba lì?

E poi non mi è mai capitato di vedere indicato sulle didascalie delle teche dei musei che questo o quel reperto provenga da uno scavo ufficiale o da un ritrovamento fortuito;  alla maggior parte dei visitatori non gliene frega niente, godono della bellezza del pezzo, lo ammirano e poi se ne vanno contenti.

La maggioranza degli oggetti esposti nei musei proviene da ritrovamenti casuali e non da scavi stratigrafici, però la provenienza non viene mai citata per convenienza.  Immaginiamo se tutti i reperti che non provengono da scavo venissero tolti dalle teche perchè classificati di serie B che magra figura ci farebbero quelli restanti di serie A?

I dottoretti di primo pelo a cui viene chiesto di curare qualche esposizione o mostra tipo quella dei Pesi di S. Vito al Tagliamento se proprio non possono fare a meno di farci rimarcare la declassata provenienza dei nostri ritrovamenti di superficie, siano altrettanto onesti da fare la conta di quanti siano i reperti di serie A e di quanti di serie B oppure la smettano di rifilarci la frasetta sulla contestualizzazione che ci fa venire la bile e i gironi cogliati!

 

Ci dicono di tutto, ma poi qualcuno corteggia il nostro hobby

Ho avuto occasione di parlare con molti studenti universitari del corso di lettere antiche e/o di archeologia ed ho potuto constatare quanto astio ci sia nei confronti di chi fa ricerca archeologica per diletto. I professori universitari hanno il dente avvelenato contro gli appassionati locali ed i gruppi archeologici territoriali ed inculcano nella testa degli studenti un odio scatenato verso queste persone.

Salvo doversene poi pentire, questi ragazzi manifestano una repulsione quasi viscerale nei confronti di chi esercita la ricerca e la raccolta di superficie passeggiando sui campi arati perché spessissimo i dilettanti raccolgono molta più roba di loro.

Sono talmente plagiati e convinti che solamente lo scavo stratigrafico possa dare risultati importanti che non si rendono conto di quello che dicono e temono la concorrenza di gente senza titolo che lavora gratuitamente.

Però noi sappiamo che i luoghi integri dove poter esercitare lo scavo ce ne sono ben pochi, che il 95% degli insediamenti conosciuti si trovano in campi coltivati e sconvolti dalle arature, sappiamo che il ministero dei beni culturali è senza soldi, che di progetti culturali ad ampio respiro non ce ne sono, che se si fa ancora qualcosa è merito di finanziatori privati esteri, che la politica del turismo culturale in Italia fa schifo mentre dovrebbe essere ai vertici mondiali e che solo pochissimi italiani si rendono conto di avere tra le mani il più grande tesoro culturale del mondo, e pur avendo ottime idee, non viene data loro la benché minima opportunità di poter fare qualcosa.

E allora?

Allora molti studenti, dopo la laurea cambiano mestiere perché difficilmente trovano lavoro, e quelli che tengono duro si rendono finalmente conto che non sono i dilettanti la causa dei loro guai perché se ai dilettanti è fatto divieto di eseguire scavi, per gli archeologi è sconveniente e sminuente fare raccolta di superficie cosicché si accorgono che i due mondi non si incrociano, non si toccano, non si danneggiano, anzi possono convivere e perfino collaborare.

Ecco allora che qualche giovane archeologo, esplorando nuove inaspettate opportunità, entra in simbiosi con qualche gruppo di  dilettanti e collabora con loro traendone vantaggi...... in barba al bieco insegnamento universitario.