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OPINIONI
Verifica
della stupidità istituzionale italiana
Oggi
17 dicembre 2024 ho verificato la stupidità di alcuni funzionari del
ministero della cultura dello stato italiano.
Articolo di giornale: Messaggero Veneto - Cronaca locale - Fagagna
Titolo: "Ricerche sulla collina del misteri - Emersi i resti di un
altro scheletro"
Mi interessa....Salgo in macchina e vado a vedere; Arrivo lì.... zona
recintata, saluto due persone in borghese presenti dentro il recinto.
Chiedo se si può guardare. Uno dei due evidentemente infastidito per la
mia presenza mi dice di leggere il cartello. Leggo....c'è solo il divieto
di accesso per area sottoposta a sequestro....estraggo il mio GPS da
trekking e faccio un waypoint, poi prendo il telefono per fare un paio di
foto e a quel punto lo stesso estrae un tesserino di riconoscimento da
carabiniere come se fosse un arbitro in procinto di espellere un giocatore
dal campo e mi dice <lei non può fotografare terze persone senza il
loro consenso> e con questo mi invita ad andarmene. Esprimo il mio
disappunto con un semplice <tutto questo è ridicolo> e me ne
vado.
Ma perchè mettete una notizia sul giornale se poi una persona per
curiosità non può andare a guardare e fare un paio di foto? Ma perchè
lo pubblicizzate? Perchè non scrivete su questo minchia di giornale che
il luogo è interdetto al pubblico o che sono vietate le visite? In
che Italia cialtrona viviamo! Ho l'impressione che tante
persone che svolgono un lavoro pubblico abbiano bisogno di fare corsi di
buona educazione prima di cominciare a lavorare. Vergognosi
Statalismo
malato
Dal 1970 in poi i funzionari del ministero dei beni culturali hanno
prodotto più danni morali e materiali al patrimonio culturale di quanti
ne abbiano prodotti tutti i tombaroli d’Italia messi insieme. Hanno
scarnificato il senso di appartenenza ad una nazione che c’è in ogni
cittadino che fa cultura e lo hanno buttato nel bidone delle immondizie
non riciclabili.
Dico questo perché è la sintesi di tutte le considerazioni che si sono
fatte da cinquant’anni a questa parte sui rapporti intercorsi tra i
cittadini che hanno fatto ricerca archeologica dilettantistica e i
funzionari del ministero.
Cinquant’anni fa i trovarobe della prospezione visiva sugli arativi
anelavano di imparare, di sapere cos’erano le cose che capitavano loro
tra le mani, volevano capire, volevano che qualcuno insegnasse loro come
fare, come collaborare. Più tardi, dieci anni dopo, i nuovi trovarobe
della prospezione con il metal detector avevano decuplicato il desiderio
di apprendere perché quello che raccoglievano era straordinariamente
nuovo tanto da non averlo mai visto in nessun museo, in nessuna raccolta e
in nessuna collezione, tanto da non trovare confronti. In quel frangente
sarebbe bastato che le soprintendenze avessero aperto un ufficio o un
settore di controllo della provenienza dei materiali, affidando il compito
ai cosiddetti ispettori onorari che andavano tanto di moda a quei tempi.
Sarebbe bastato che si fossero raccolte le informazioni peculiari
provenienti da ogni gruppo di ricerca, informazioni che oggi sappiamo
valere molto di più degli oggetti e dei reperti raccolti. Sarebbe
bastata una minima apertura di credito verso queste persone, istruendole
nelle modalità operative, comportamentali e morali.
Invece no, lo scontro tra cittadini e istituzioni fu terribile e
deleterio. Il dictat assoluto, il divieto perentorio, la minaccia di
denunce, di deferimenti e di sequestri fu l’unico metodo adottato dai
nostri bravi funzionari. Nel giro di qualche anno quasi tutti i gruppi si
disgregarono, e i loro addetti più oculati si diedero alla clandestinità.
Non oso neanche pensare a quanti materiali e a quante informazioni siano
andati persi da quel periodo ad oggi.
Nel presente c’è stato un completo capovolgimento dei ruoli: i moderni Indiana Johns
hanno isolato nei loro uffici i rappresentanti istituzionali e stanno
imparando ad aggirare i controlli telematici del nucleo Tutela del Patrimonio
Culturale (TPC) mentre i funzionari hanno perso completamente il contatto
con il territorio e non sanno più nulla di ciò che succede nonostante il
lavorio sia continuo e inarrestabile.
È una Caporetto culturale che fa piangere. I vecchi trovarobe hanno
proposto infinite volte la reciproca collaborazione e non l’hanno mai
ottenuta. La colpa è solamente delle istituzioni e delle leggi vigenti
che si inaspriscono ogni giorno di più, nella speranza di ottenere un
risultato migliore.
Invece sono vittime suicide
dello statalismo malato che le ha generate.
Istituzioni
dispettose
Le
opinioni contano, altroché se contano, ed hanno anche valore decisionale
quando hai a che fare con qualcuno che fa di tutto per infastidire. Ed, è
tutto quello che possono contro di me, e della mia
indifferenza nei loro confronti.
Era il mese di maggio del 2015 quando è avvenuta l’ultima consegna di
materiali archeologici da me raccolti: 143 oggetti di epoca romana.
La prassi era la solita: una telefonata al sindaco di Vivaro per prendere
appuntamento; una lettera formale di consegna, un listato degli oggetti e
una scatola contenitore. Era ovvio che la roba, di pertinenza territoriale
all’antiquarium di Tesis, venisse consegnata al sindaco del comune
ospitante, come di prassi era sempre avvenuto: un conteggio e un controllo
che ci fosse tutto, la firma, la controfirma per ricevuta, una stretta di
mano e le cordialità
di rito. Tutto qui!
Il materiale da me consegnato quel giorno però non è mai giunto
all’antiquarium di Tesis ma è stato subito dirottato presso il museo di
Pordenone per ordine della soprintendenza.
Giuro che non sono mai riuscito a capire perché, visto che le consegne
successive di altri ricercatori hanno seguito l’iter normale e
depositate regolarmente presso il magazzino dell’Antiquarium.
Da quel momento però io non ho più consegnato nulla e sono nove anni che
non lo faccio più.
Immagino che la mia decisione abbia suscitato altrettanto fastidio, dato che
pubblico sempre
le foto della roba che trovo, ma ora, invece di consegnarla, la rimetto
sotto terra.
Perché??? Non amo essere preso per il fondello.
Nell’Antiquarium di Tesis ci sono più di un migliaio di oggetti che
dovrebbero portare il mio nome nel cartellino di ritrovamento, e invece
sono tutti anonimi, nessuno sa chi li abbia portati lì e quante giornate
abbia perso per raccoglierli, quanti chilometri abbia fatto per la ricerca
e quanto valga il nulla che ha ricevuto in cambio. Nessuno può sapere chi
e quanti siano i ricercatori che hanno lavorato per costruire una così
copiosa raccolta, ne quali speranze li abbiano mossi per giungere a questo
risultato. Speranze infrante dalla malafede delle istituzioni che hanno
fatto sempre di tutto pur di non ammettere e riconoscere che avevano
ragione quelli lì con il metal detector.
Se non avessero disubbidito ad una legge generica e mal fatta, tutto sarebbe andato
perduto.
Pochi gruppi archeologici in Friuli sono riusciti a raccogliere quanto il
gruppo di Tesis e ad ottenere risultati simili.
Non
riesco ancora a capire quale tornaconto abbiano avuto gli inveterati
autolesionisti a deviare i miei 143 reperti del maggio 2015.
Hanno dimostrato di essere soltanto degli ignobili figli di uno statalismo
malato e di non meritare più nulla da nessuno.
Fotografia degli odierni
ricercatori archeologici dilettanti
(Ricercatori
vecchio stampo, ruffiani, riconvertiti, e tombaroli)
I
nuovi ricercatori archeologici nascono già con il dna mutato; sono come
certi batteri, resistenti agli antibiotici. Qualsiasi accenno a rispettare la legge
genera un
rifiuto automatico come l’anti spam delle email.
Eppure sono passati pochi anni, forse solo una generazione da quando
decine e decine di volenterosi hanno incominciato a raccogliere le cose
antiche con il miraggio di dare vita a un museo civico nel loro paese o
nella loro città: uno slancio pieno di maturazione, di sensibilità
civile e di desiderio di cultura.
Bene, tutto questo oggi non esiste più, a cancellare tutto ci hanno
pensato i funzionari statali delle soprintendenze ed i politici ignoranti
che hanno prodotto leggi sempre più restrittive senza distinguere
le cose buone da quelle cattive, ossia senza comprendere che i
cittadini che facevano ricerca archeologica del paesaggio non errano per forza dei
disonesti.
Facendo un’analisi un po’ più accurata della trasformazione del modo
di pensare del ricercatori dilettanti odierni possiamo elencare sostanzialmente quattro gruppi ben distinti.
1) La categoria dei ricercatori vecchio stampo che, nonostante le
difficoltà delle relazioni con le istituzioni, hanno tenuto duro e hanno continuato a pensare all’arricchimento culturale collettivo.
2) La categoria dei ricercatori ruffiani o “cani da riporto”, che
avendo fallito nell’arte di trovarobe, si atteggiano a “informatori
delle soprintendenze” (leggasi spie) e comunicano quello che annusano nell’aria.
3) La categoria dei ricercatori riconvertiti, che ormai si dilettano a
raccogliere e a scambiarsi tra loro quello che trovano come se i reperti
fossero figurine della “Panini”.
4) La categoria dei tombaroli classici che vendono tutto quello che
trovano per fare denaro.
I ricercatori di vecchio stampo sono rimasti pochissimi e sono
paragonabili a degli archivi ambulanti per la loro capacità e conoscenza. Hanno saputo tenere duro e hanno conservato intatta la
loro integrità morale.
I ruffiani invece lavorano nell'ombra perché sono dei parassiti, perché
se qualche notizia si diffonde nell’aria, proviene
sicuramente da coloro che lavorano alla luce del sole e si comportano come cani da riporto. Ne abbiamo ovunque di
questi elementi,
però
con l'avvento della grafica digitale e delle pubblicazioni
extracomunitarie essi non hanno più vita
facile.
La categoria dei riconvertiti, ovvero dei ricercatori con il dna
modificato, la stragrande maggioranza dei ricercatori odierni (si parla di
varie centinaia di persone in Friuli Venezia Giulia) è una categoria
indotta per la maggior parte dalla legge e dall’intransigenza dei
funzionari statali. Sono in definitiva ex ricercatori collaborativi,
che hanno perso la fiducia nelle istituzioni, che hanno valutato la stupidità di certe
leggi e hanno deciso di fare un cammino diverso e di tenersi quello che trovano.
Essi girano dappertutto, in pianura, in montagna, sui cucuzzoli delle
colline e raccolgono qualsiasi cosa capiti loro in mano senza prendere
nota della provenienza degli oggetti. Parlando con loro
sembrano inattaccabili; se gli chiedi cosa stiano facendo rispondono “perché ti interessa? I
funzionari statali cosa ti hanno dato finora? ah solo pedate nel sedere? E
allora perché non ti fai gli affari tuoi?”
La categoria dei tombaroli, ovvero di coloro che cercano e trafficano per
fare denaro sono la categoria che più assomiglia ai nostri funzionari
statali ed alla maggior parte degli attuali insegnanti di
cose antiche, per quantità di danni arrecati alla nostra cultura: i primi
si portano via le testimonianze della nostra storia per venderle ai
collezionisti privati, i secondi sparano a zero su coloro che la storia la
amano, la coltivano e la condividono per piacere.
I vecchi
conoscitori e frequentatori del territorio (in ogni comune ce ne sono stati almeno un
paio) pian piano scompaiono o si convincono che impegnarsi, con questi funzionari
e con queste leggi indecenti, non si va da nessuna parte. A cosa serve il senso civico e la
disponibilità se le istituzioni osteggiano e denigrano invece di
ringraziare?
Così ogni volta che uno di questi ricercatori se ne va o perchè muore o perchè smette
o perchè cambia categoria, è come se bruciasse una biblioteca intera, i cui
contenuti non potranno essere mai più recuperati.
La polpetta avvelenata
In
questi anni di crisi economica il volto ufficiale della cultura non ha
prodotto nulla, i soldi pubblici sono sempre pochi, e senza soldi nessuno
è incentivato a fare. Sì perché i professionisti del sapere costano
tanto, costano anche quando non fanno niente, figuriamoci quando lavorano!
Gli studiosi indipendentisti non istituzionalizzati invece hanno imparato
a gestirsi da soli e fanno anche una parte di quello che l’ufficialità
dovrebbe fare: scendono sul territorio, fanno ricerca e producono
informazioni senza bisogno di soldi pubblici.
Fino a qualche tempo fa questi dilettanti erano spesso derubati e plagiati
delle notizie delle loro scoperte perché solo le fonti ufficiali avevano
l’opportunità di pubblicare; oggi la situazione si è capovolta e le
pubblicazioni libere e indipendenti prevalgono, però sono condannate
all’oblio forzato imposto dall’ambiente accademico.
Ma l’oblio forzato è un’arma a doppio taglio e se da un canto
impedisce ai dilettanti di emergere nel panorama culturale, dall’altro
ostacola gli accademici nell’affrontare gli stessi argomenti senza
essere contestati.
Oggi i professionisti del plagio culturale sono stati smascherati perché
si comportano sempre allo stesso modo: leggono, comprendono benissimo
l’importanza, e pensano subito a come appropriarsene. Così cercano in
ogni modo di aggirare l’ostacolo escludendo la vera fonte della novità
e cercando di attribuirla ad altri come loro; e se non ci riescono,
restano fermi sulle loro convinzioni sbagliate e non parlano.
Così una notizia innovativa o una scoperta indipendentista di grande
valore diventa per loro una polpetta avvelenata: pur di non ammettere una
fonte profana, preferiscono stare male; piuttosto di citare nelle loro
bibliografie il lavoro di studiosi indipendenti, preferiscono mangiare la
polpetta e soffrire?
Il successo però gioca a favore di chi lavora, di chi, giorno dopo
giorno, mette insieme e pubblica ogni informazione, e non dei nulla
facenti che si appostano per tendere l’imboscata al primo inconsapevole
che passa.
Tedeschi sulla spiaggia di
Lignano Sabbiadoro con il cercametalli
Passato un po’ di tempo dal
fatto, era il 23 luglio 2019, vorrei commentare il ritrovamento, con il
cercametalli, di una bomba inesplosa sulla spiaggia di Lignano da
parte di un ragazzino tedesco e di suo papà.
Se io italiano fossi andato in Austria o in Germania o in Slovenia con un
metal detector come minimo mi avrebbero sequestrato lo strumento, mi
avrebbero dato una bella multa e avrei passato un brutto quarto d’ora
davanti alla polizia.
Perché in Italia questo non succede? Cosa ci facevano in Italia dei
tedeschi con un cercametalli?
L’Italia è l’unico paese della comunità europea in cui qualsiasi
cosa trovata nel sottosuolo o nelle profondità marine appartiene allo
Stato, compreso ciò che non sa neanche di avere però al momento non c’è
nessun articolo di legge che regolamenta l’uso del metal detector, fuori
dalle zone tutelate dal Ministero per i Beni Culturali. Perché almeno in
questo caso non è stato applicato il D.L. Franceschini e Orlando che
vorrebbe in galera tutti i possessori di metal detector?
Perché la legge non ha definito i nostri esteri come dei potenziali ladri
invece di presentarli su tutti i telegiornali come dei benemeriti?
Molti comuni litoranei hanno istituito il divieto di cercare cose con
questo coso sulla spiaggia e sulla battigia. In questo caso, se a trovare
l’ordigno fosse stato un italiano avrebbe dovuto fare una telefonata
anonima per segnalarlo senza incappare in contravvenzioni o sarebbe stato
meglio per lui averlo abbandonato senza dire nulla? Lascio a voi il
giudizio sulla qualità e sull'uniformità della giustizia in questa
Repubblica delle Banane.
Un
salto di qualità
per maturare
Dopo
tanti anni di ricerche attive nel settore dell’archeologia del paesaggio
con il cercametalli e la zappetta, ho cominciato a osservare il territorio
in cui vivo e abito con occhi nuovi, con animo e spirito nuovi e ho
cominciato ad apprezzare certe informazioni che il terreno mi dà, solo
annusando l’aria, solo ascoltandolo in silenzio, solo immedesimandomi
con esso.
Qualcuno dirà che sono diventato pazzo, che ci vogliono oggetti,
materiali e dati per scrivere la storia e non suggestioni. Si, è vero, ma
ad un certo punto della vita gli oggetti ed i dati non mi bastano più, ho
bisogno anche di altro, delle sensazioni, delle percezioni e delle
emozioni. Certo è anche vero che di emozioni ne ho avute tante, dopo aver
estratto dalla terra migliaia di reperti antichi, ma la percezione è
qualche cosa che va al di là, che supera il muro di omertà delle cose e
le fa parlare.
Da un po’ di tempo ho cominciato a frequentare il territorio del Friuli con
un amico, uno che conosce le vie di
comunicazione antiche più di chiunque altro. Mentre giro con l’auto tra
colline e poggi a visitare i luoghi più frequentati dall’uomo nel
passato, apprendo attraverso il suo metodo di studio, cose che non avrei
mai pensato. Nonostante che il mio occhio sia addestrato a vedere anche
l’invisibile, egli mi suggerisce che c’è un’altra dimensione nella
quale dovrei entrare. Egli mi dice sempre che bisogna cambiare registro e
vedere le cose sotto un altro profilo perché le strade ed i sentieri per
esempio, (e lui di strade e sentieri se ne intende) dove transitavano gli
antichi, sono ancora tutti sotto i nostri occhi, basta saperli distinguere
da quelli che via via sono stati aggiunti con l’andar del tempo.
Lo stesso vale per gli insediamenti e i punti di avvistamento e di
controllo del transito attraverso le colline e le montagne.
Se in pianura le linee ortogonali della centuriazione romana sono quasi
scomparse, perché prodotte per suddividere il territorio e non per
raccordare un luogo con un altro, le piste ed i sentieri più antichi e
preistorici si sono conservati fino all’epoca moderna perché l’uomo
li ha sempre preferiti per maggior comodità.
In montagna e in prossimità di rilievi poi, dove la centuriazione non è
stata attuata, i sentieri sono ancora tutti lì. Recentemente alcuni sono
stati rimaneggiati e ristrutturati, fino a divenire vere e proprie strade
d’altura, ma la loro funzione rimane intatta. Lungo essi sono fioriti
nel tempo borghi, paesi, castelli, alpeggi e altre forme insediative, ma
sempre e solo per merito della loro presenza.
A proposito di strade, questo amico mi ricorda sempre che ogni fiume aveva una
sua viabilità littoranea di destra e di sinistra e tanto più queste vie
si allontanano dal corso d’acqua, più larga era l’area di esondazione
del fiume durante le piene. I passi (o passaggi a guado) erano frequenti e
tutti raccordati da queste strade littoranee che completavano la viabilità
di comunicazione tra le località importanti. Oggi quasi tutti i fiumi
sono arginati e la percezione delle aree golenali e delle vecchie paludi
è molto falsata perciò per capire il territorio antico, la sua viabilità
e la diffusione degli insediamenti, necessita prendere in mano gli
attrezzi del geometra, lasciando a casa il cercametalli e la zappetta.
I tempi stanno cambiando, i lavori agricoli hanno fatto scomparire una
miriade di indizi antropici, ma il territorio è sempre lì e sempre
disponibile a dirci e a darci qualcosa, purché sappiamo cogliere quello
che ci offre, senza forzature. Ci vuole perseveranza ed esperienza per
fare una ricerca come questa, rivedendo costantemente i risultati
raggiunti in funzione dei nuovi elementi acquisiti.
È una ricerca senza fine che richiede onestà con se stessi e con gli
altri.
Trasferirò col tempo, questo metodo di studio anche alla destra
Tagliamento, in modo da legare, se possibile, l’intero Friuli in
un’unica realtà paesaggistica e storica, superando le contrapposizioni,
le divergenze ed i campanilismi politico istituzionali che danno tanto
l’impressione di ignoranza.
Repetita
iuvant: è utile ricordare che il territorio appartiene a
coloro che lo frequentano e lo vivono, non a coloro che non se ne curano e
tantomeno a coloro che credono di tutelarlo stando seduti dietro una
scrivania, e se le risorse scarseggiano, ognuno ci metta del suo, così
come fanno da sempre, per amore della loro terra, quasi tutti i
ricercatori indipendentisti non istituzionalizzati.
Cancellare
la legge Franceschini Orlando sui Beni Culturali
L’ex
ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini e il suo degno compare
Andrea Orlando non hanno capito niente di Archeologia e di Beni Culturali.
Essi hanno prodotto un disegno di legge demenziale e incivile, anche se
sappiamo che non hanno fatto nulla di loro iniziativa, ma solo quanto
l’alta burocrazia statale ha chiesto loro di fare, senza domandarsi se
è bene o se è male.
Con un Ministero ridotto ad uno scheletro, dove i funzionari locali non
sanno nemmeno come sia fatto il territorio che sono chiamati a tutelare,
ci si domanda se sia il caso di continuare a fare a meno dell’opera del
volontariato e dei cittadini onesti. Questi burocrati continuano a credere
di poter contrastare l’illegalità soltanto inasprendo le pene o
promuovendo nuove leggi sempre più severe quando poi non ci sarà nessuno
capace di farle funzionare. Se ad esempio scopriamo che un tutore
dell’ordine delinque, non è che togliamo le armi a tutte le forze di
polizia, le togliamo a quella persona; così se scopriamo che un cittadino
vende o baratta oggetti archeologici trovati con il metal detector non è
che dobbiamo eliminare tutti i metal detector in circolazione, ma
perseguiamo il cittadino disonesto e lo sequestriamo a lui.
Il Ministero ha tormentato per anni i volontari che frequentavano le
associazioni archeologiche di ricerca, desiderosi di dare una mano solo
per senso civico.
Siamo sicuri che abbia fatto bene? Siamo sicuri che questi ricercatori che
se ne sono andati a fare altro, non abbiano continuato questa attività
senza più collaborare?
Non sarebbe meglio aprire le concessioni di ricerca a quella parte di
volontariato ancora recuperabile, che oltre a raccogliere legalmente i
reperti, tiene controllato gratuitamente il territorio e dà una mano alle
forze dell’ordine che invece sono poche e costano tanto?
Invece di perseguire, non sarebbe meglio insignire di pubblica
onorificenza quelle persone che collaborano e consegnano i reperti ai
musei civici territoriali piuttosto che tenerseli?
Franceschini e Orlando non la pensano così, per loro bisogna mettere in
galera tutti, purché siano Italiani, perché se sono stranieri e
soprattutto clandestini, poverini, l’aspetto cambia.
Si
vuole introdurre nuovamente il proibizionismo, sapendo che è un metodo già
sperimentato in altri campi e che non funziona.
La legge Franceschini-Orlando, che il governo della passata legislatura
sta cercando ancora oggi di far passare fra decreti mille proroghe e
compromessi vari, deve essere completamente cancellata perché la vigente
22 gennaio 2004, n. 48 è già sproporzionata rispetto alle pene previste
per altri tipi di reato e, se applicata correttamente, basta e avanza.
“MAGNIFICI
RITORNI” AD AQUILEIA
È stata presentata a Roma la mostra “Magnifici
Ritorni. Tesori aquileiesi dal Kunsthistorisches Museum di Vienna”
che si inaugura sabato, 8 giugno, al Museo Archeologico Nazionale
di Aquileia. L’esposizione è organizzata dalla Fondazione
Aquileia, dal Polo Museale del Friuli Venezia Giulia e
dal Kunsthistorisches Museum di Vienna con il patrocinio
del Comune di Aquileia e in collaborazione con Fondazione So.co.Ba per
celebrare i 2200 dalla fondazione dell’antica città romana.
La mostra riporta sino al 20 ottobre ad Aquileia, a distanza di quasi
200 anni, alcuni tra i più importanti reperti archeologici restituiti dal
ricchissimo sottosuolo aquileiese, attualmente esposti nella collezione
permanente del Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Un viaggio nel tempo che, grazie ai 110 reperti del Kunsthistorisches, ci
trasporta nell’Aquileia di 2200 anni fa ma anche nell’Aquileia
dell’Ottocento quando la città era parte dell’Impero asburgico e le
raccolte viennesi rappresentavano l’alternativa istituzionale al
collezionismo privato delle famiglie locali e alla dispersione del
materiale sul mercato antiquario. (AISE
04 06 2019)
Link
per leggere l’intero articolo di agenzia:
https://www.aise.it/modulo-pi%C3%B9-letti/magnifici-ritorni-ad-aquileia/131518/2
Come non approfittare dell’evento per dire qualcosa in proposito.
Un breve rimpatrio di un centinaio di reperti, portati a Vienna in epoca
asburgica, quando Aquileia faceva parte del territorio austro ungarico non
è un evento cui andare tanto fieri né un valido motivo per festeggiare.
Sono materiali venduti o regalati al potere di allora che se li è portati
via lontano da casa.
In quel tempo la spogliazione della città romana era di largo uso e di
consolidata prassi, e chiunque poteva rivendere ai commercianti di
antichità; l’affare ed il denaro non guardava in faccia nessuno e alla
gente mancava completamente il senso civico del bene comune.
Oggi che non si può più e che non c’è quasi più nulla da vendere, le
istituzioni non si curano nemmeno del sapere, degli studi e delle informazioni portate
avanti da quelle persone che fanno gratuitamente ricerca paesaggistica, storica e
topografica magari perché non fanno parte della loro elitaria ed
esclusivistica casta
burocratico-istituzionale, tanto che anche in questo settore chi opera da
anticonformista deve rivolgersi a entità estere per esprimersi e per difendersi perché
in Italia è diventato pericoloso anche studiare e fare cultura.
Cosa volete che importino 110 reperti prestati per qualche mese visto sono
tutti oggetti che le istituzioni definiscono “decontestualizzati” che
perciò non hanno più nessun valore storico, ma solo d’antiquariato e
collezionistico. E noi che ci facciamo di questa roba? Ci rifacciamo solo
gli occhi pensando alla data in scadenza e alla passata gloria?
Probabilmente sì, mentre si continua a dequalificare e trascurare i
valori di quelle risorse che lavorano sodo, ma che non hanno la mirabolante capacità di trasformarsi in
denaro o
in notorietà.
Non
c’è più nessuno che sostiene l’archeologia.
L’archeologia
istituzionale ha la parvenza di una religione, ma non lo è perché
discrimina le persone; in passato ha respinto troppa gente e raccontato
troppe bugie, tanto che ora è sola e non c’è più nessuno che la
sostenga.
Le soprintendenze archeologiche e gli atenei universitari di storia antica
d’Italia sono allo sbando, sono un clero senza fedeli, senza seguaci e
senza idee, a cui nemmeno il popolo laico della sussidiarietà sociale
crede più.
In questi anni uno sparuto drappello di studiosi alternativi,
culturalmente dissociati hanno dimostrato a tutti che è impensabile
credere di poter fare archeologia senza fare ricerca, senza scendere sul
territorio, senza frequentare ogni paesello, senza percorrere ogni
viottolo di campo e ogni cucuzzolo di altura, senza visitare ogni
chiesuola campestre o montana, senza esplorare i dintorni di ogni
cimitero, senza prendere nota di ogni avvallamento, rialzo o anomalia del
terreno, senza mettere su mappa e per iscritto ogni informazione.
E stanno dimostrando che è impensabile pretendere di fare tutela dei beni
e delle attività culturali stando seduti ad una scrivania in attesa che
succeda qualcosa, o che qualcuno faccia loro qualche segnalazione insolita
per rimescolare le congetture che non trovano riscontri nella realtà.
Gli scavi, che le istituzioni vedono sempre come esordio, sono cose che
devono venire dopo, prima bisogna fare la ricerca, e loro la ricerca non
la fanno; aspettano sempre qualche disturbo esterno per sentirsi obbligati
a promuovere qualcosa.
Per similitudine, il clero non vale nulla all’interno di una religione
senza il popolo dei fedeli; il popolo senza clero invece può campare lo
stesso e anche vivere bene.
Così il mondo dell’archeologia ufficiale, che ai nostri occhi oggi può
sembrare più una setta che una religione, tanto è concentrata sui suoi
adepti, tanto è chiusa e tanto è elitaria, se alla fine non trova un
popolo di seguaci non serve a nulla. Il popolo invece può benissimo fare
da solo, sbagliando di più naturalmente, come un fedele senza clero, ma
ce la può fare lo stesso.
Infatti, quelli che un tempo dialogavano, oggi tacciono, non disturbano più,
producono in proprio le loro convinzioni e pubblicano i frutti delle loro
ricerche senza chiedere il permesso a nessuno.
E tali opere rimarranno incontestabili fintanto che le istituzioni non
recupereranno la conoscenza del territorio che sono chiamate a tutelare.
I
ricercatori dilettanti
Si
ricordi la giunta regionale nel legiferare sulla cultura e
sull’archeologia, che le maggiori scoperte in regione sono state fatte
nel tempo da ricercatori dilettanti e che gli scavi che hanno portato a
ritrovamenti importanti sono partiti quasi sempre da segnalazioni di
ricercatori dilettanti.
I ricercatori dilettanti, da non confondere con i tombaroli o con i
trovarobe da picnic, sono sempre stati maltrattati dalle soprintendenze
nonostante fossero dei veri attivisti culturali, disinteressati e
collaborativi. Costoro sono sempre stati gli artefici di ogni slancio
della ricerca regionale e nonostante siano ridotti a poche unità
continuano a lavorare facendo tesoro dei frutti della loro attività. Solo
costoro girano e controllano il territorio e rilevano i cambiamenti e le
trasformazioni che l’ambiente ed il paesaggio subisce continuamente.
Nel legiferare, la politica si ricordi di loro, trovi il modo di
tutelarli.
In genere non fanno parte di organizzazioni di volontariato convenzionali
perché in tali organizzazioni finiscono tutte le persone senza idee, che
non fanno nulla e che delegano soltanto.
Non fanno parte di onlus di prestigio perché queste sono solo delle
mangiatoie e luoghi di sperpero di denari pubblici: ricettacolo di
illustri politici decaduti.
Essi lavorano gratuitamente e non chiedono rimborsi per un’attività che
nessuno ha chiesto loro di fare, ma che dal loro lavoro e dalle loro idee
spesso nascono gli spunti che portano avanti la cultura e la storia di una
intera regione.
La
cultura in Italia
La
Società degli Archeologi Medievisti Italiani (SAMI)
ha istituito, a partire dal 2013, un premio intitolato alla memoria
del professor Riccardo Francovich, conferito al museo o parco archeologico
italiano che, a giudizio dei propri Soci e dei cittadini partecipanti alla
votazione, rappresenta la migliore sintesi fra rigore dei contenuti
scientifici ed efficacia nella comunicazione degli stessi verso il
pubblico dei non specialisti.
https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwjWr4XCvPPfAhVDXxoKHb_jBz0QFjAAegQICRAB&url=http%3A%2F%2Farcheologiamedievale.unisi.it%2Fsami%2Fpremio-riccardo-francovich-2019&usg=AOvVaw2sw3Cmt1_6Thvzg_1itZS1
Prendendo
spunto da questo evento vorrei avventurarmi in qualche funambolica
considerazione sulla desiderabilità e la fruibilità della cultura in
Italia.
A
cosa serve premiare una struttura o un’entità per essere stata capace
di comunicare il linguaggio cifrato e complicato degli specialisti a dei
poveri ignoranti, quali sono genericamente considerati dalle istituzioni
tutti i
non specialisti?
È meglio adottare in partenza un linguaggio semplice e forbito,
comprensibile a tutti, così da non dover scomodare la gente in
valutazioni distraibili che possono non rispondere alla realtà.
Il pubblico gradisce una divulgazione semplice, lineare, espressa con
prosa affabile e cordiale, che sia esso composto da non specialisti, o da
specializzandi; così facendo si insegna a tutti ad essere chiari. Il
linguaggio criptato è tipico del medio evo e dei periodi oscuri, quando
non si vogliono permeare idee, concetti e informazioni ad altra gente, cioè
al pubblico dei non specialisti.
In
una nazione quale la nostra, stracolma di spunti e di delizie culturali,
genera orrore la spaventosa assenza di attenzione da parte della gente
adulta per gli eventi, per le strutture e per le comunicazioni. Essa ha
inizio dalla fine della scolarizzazione e si prolunga generalmente fino
all’inizio della quiescenza del cittadino.
Entro questo periodo di tempo che dura circa una quarantina di anni, nel
tempo libero gli italiani non si occupano di argomenti che si riferiscano
alla cultura né intraprendono un hobby con tale orientamento;
preferiscono di gran lunga lo sport e l’enogastronomia; eccezionalmente,
come forme di distrazione, il cinema, la musica ed i concerti, e poi molto
volontariato nell’ambito socio assistenziale. Cultura di altro tipo
zero!
Proviamo a chiederci quale percentuale di italiani sarebbe disposta a
rinunciare ad una partita di calcio o ad una grandiosa abbuffata per
visitare una mostra o un museo? Ho
timore che essa sia molto bassa.
In che orari e con quale frequenza i media di stato trasmettono format
culturali come Quark, Ulisse, Passaggio a Nord Ovest, TGR Leonardo ecc.?
solitamente quando la gente è al lavoro o quando ha bisogno di dormire e
dato che i programmi culturali stentano a fare audience perché agli
italiani manca la cultura della cultura, non si riesce mai a conciliare il
bisogno di imparare o di sapere con i tempi e i metodi di comunicazione.
E le università e le soprintendenze quanti libri producono con
l’intento di invogliare i non specialisti con pubblicazioni storiche e
culturali di alto livello comprensibile a tutti ed amabili anche per le
persone meno colte? Temo nessuno; tali pubblicazioni sono prerogativa di
autori privati e non di iniziative pubbliche.
Le pubblicazioni delle istituzioni si limitano ai cataloghi delle mostre
ed ai pieghevoli dei musei nell’atto di reclamizzare e pavoneggiare se
stessi, e di cui il consumatore tipico è straniero.
In Italia inoltre manca la libertà di divulgazione; tutto è sotto il
controllo monopolizzato dello Stato centrale, in mano a funzionari che non
si curano delle peculiarità locali e della configurazione logistica dei
singoli territori e non sono in grado di acquisirla perché vi rimangono
troppo poco tempo. La capacità di scrivere con parole comprensibili a
tutti è in mano a cultori privati, come quasi tutti i format televisivi.
In Italia le capacità imprenditoriali dei privati nel settore culturale
vengono sacrificate in nome di una ius cogens che ha origine nella
burocrazia statale e dove, ad ogni ritocco della legge, diventa sempre più
difficile e improponibile cogliere qualche opportunità.
All’Italia manca il cervello e manca la quasi totalità degli italiani
nella veste di recettori della cultura. Ci si domanda se abbia un senso
stabilire se ci sia una struttura o un’entità che rappresenti la
migliore sintesi fra rigore dei contenuti scientifici ed efficacia nella
comunicazione degli stessi verso il pubblico dei non specialisti, quando
ai più manca il substrato in cui germoglia questo tipo di coscienza, a
causa della burocrazia e delle leggi che ha contribuito a far produrre.
Non
me ne vogliano i soci del SAMI se ho preso spunto dalla loro iniziativa
per le mie considerazioni, e soprattutto per la memoria dell’archeologo
e storico Prof. Riccardo Francovich a cui non intendo mancare di rispetto.
Soprintendenza
regionale?
Le
notizie che trapelano dalla stampa quotidiana sulla richiesta di acquisire
il controllo della Soprintendenza regionale mi sembrano buone e di ottimo
auspicio, finalmente potremmo avere un ente che fa gli interessi del
cittadino e non della burocrazia bacchettona del “guai a ogni cosa!”
Ma prima bisogna ridare dignità alla Soprintendenza che in FVG è stata
dequalificata e spogliata delle sue prerogative a vantaggio delle ong
aquileiesi. Si è vero che la gestione di un sacco di risorse sono state
deviate per manifesta incapacità degli organi periferici del Ministero
dei Beni Culturali, ma sarebbe stato meglio tentare di cambiare le persone prima di
cambiare il sistema.
Bisogna chiudere i rubinetti dei soldi pubblici dati in gestione a certe
organizzazioni di volontariato.
Le organizzazioni di volontariato aquileiesi devono vivere di proventi
propri e di sovvenzioni alla pari di tutte le altre associazioni, cioè di
5xmille, di contributi privati, di quote di tesseramento e di proventi da
attività sociali. I soldi pubblici devono essere gestiti da persone
oneste e competenti, non dai soliti marpioni della politica che si
intrufolano dappertutto dove c’è qualcosa da pappare.
Il governo Serracchiani è stato il classico esempio di
foraggiamento a pioggia a favore di “covi di parte” e di associazioni
gremite di politici trombati. Bisogna dare un segno di discontinuità con
questo metodo.
Ricostruire la Soprintendenza secondo le esigenze regionali, sostituendo i
burocrati incalliti e di professione con gente pratica, attiva e
competente; individuare, recuperare e valorizzare i cittadini impegnati e
conoscitori del territorio perché sono una preziosa e inesauribile fonte di
informazioni; finanziare solo le startup e le iniziative con progetti di
vera ricerca e di divulgazione in ogni ambito della cultura regionale.
E poi, lasciatemelo dire, finanziate e fate fare dei corsi anti stupidità
e anti ignoranza a quei politici che si devono occupare di beni e di
attività culturali: se sono come quelli del governo passato, ne hanno
veramente bisogno!
La
nuova legge contro i tombaroli
È
apparso sui giornali regionali un articolo che annuncia la prossima
conversione in legge di un vecchio decreto firmato dai PD Franceschini e
Orlando e che produce l’inasprimento delle pene verso i tombaroli ed i
trafficanti di antichità.
Se da un canto non si può che plaudire per l’approvazione di una legge
di tutela per i beni culturali, dall’altro canto si deve essere
profondamente preoccupati per gli sviluppi che essa potrà portare nel
vivere quotidiano di chi fa, o che si occupa di cultura.
Sembra scritta da degli emeriti idioti, così come tali sono coloro che,
dai meandri della burocrazia, l’hanno suggerita. Essa è piena di
incongruenze e di passaggi incomprensibili e andrà a colpire
principalmente persone che vivono onestamente di antichità, che lavorano
e producono reddito in un paese dove l’arte e la cultura sono un piatto
apprezzato quanto la cucina e la dieta mediterranea.
Lo Stato non può arrogarsi il diritto di decidere arbitrariamente di che
cosa appropriarsi.
Chi possiede legittimamente delle antichità deve avere il diritto di
farne quello che vuole, cederle, venderle e (assurdamente) anche alienarle
se sono cose sue. Se io ad esempio possiedo una collezione di fiammiferi
antichi di pregio e di infinito valore e con uno di essi voglio accendermi
una sigaretta, lo stato potrà ritenere che sono un pazzo, ma non deve
impedirmelo.
Anche se voglio acquistare un metal detector, (lo strumento incriminato
per antonomasia da questa legge) lo Stato non me lo deve impedire; se poi
io lo uso in luoghi culturalmente protetti (aree archeologicamente
vincolate) allora mi deve sanzionare.
Ho ereditato dal mio genitore, per fare
un altro esempio comparativo, vari fucili da caccia, che conservo con
amore e attenzione in sua memoria; non per questo mi sento un criminale né
un delinquente, né nessuno pensa di condannarmi per detenzione di armi.
Posseggo anche vari modelli di metal detector che ho comprato per uso
professionale e che ho usato nell’arco di quarant’anni di attività
anche per le mie ricerche archeologiche dilettantistiche; volete che
qualcuno venga ad arrestarmi per questo? I frutti della mia ricerca con
questi strumenti sono esposti e ben visibili in vari musei della regione e
non ho proprio nulla di cui vergognarmi.
La legge che porta la firma di Franceschini e Orlando invece è come nel
loro stile: vergognosa, iniqua e vessatoria, non tiene conto di un sacco
di parametri e distinzioni, farà un mucchio di danni, provocherà molte
ingiustizie e soprattutto non risolverà il problema dei tombaroli.
Sembra scritta più con i piedi e con il culo, che con le mani e con la
testa.
È frutto più dell’odio che certi funzionari istituzionali nutrono per
gli acculturati dilettanti un po’ insubordinati, piuttosto che per
coloro che raccolgono nei campi quel che resta dei nostri avi.
Invece
di aprire le concessioni ministeriali di ricerca e raccolta a persone
fidate, volenterose e oneste che contemporaneamente terrebbero controllato
il territorio gratuitamente, (tanto lo Stato non può, non vuole e non ha
i mezzi per farlo) si preferisce passare al terrorismo, alle diatribe e
alle scaramucce, che faranno sicuramente più di qualche danno collaterale,
ma che le istituzioni alla fine non vinceranno!
Voltatevi indietro baggiani e stolti, la storia insegna!!!
Ronchi
dei Legionari ha preso il volo!
In
questo scorcio di fine anno 2018 il Comune di Ronchi dei Legionari ha
pubblicato sul suo sito ufficiale la Viabilità Antica del territorio tra
il fiume Isonzo ed il fiume Timavo.
Sembra un evento di poco conto e di piccola rilevanza, invece è un fatto
importantissimo per lo studio e la ricerca dilettantistica non
istituzionalizzata che vede premiato l’impegno e la dedizione al
territorio dei ricercatori locali, quelli che l’istituzione di tutela
archeologica paragona ai tombaroli.
Per la prima volta un comune regionale sceglie e preferisce la innovativa
e fresca ricerca storica e topografica prodotta da dilettanti, a quella
vecchia, obsoleta e stantia prodotta dalle istituzioni.
I pochi e veri veterani dell’archeologia regionale hanno fatto un balzo
di qualità e hanno dimostrato che non c’è modo di progredire negli
studi senza fare ricerca. Chi non scende sul territorio per occuparsi del
paesaggio e di quello che ancora può dare, non può produrre nozioni
credibili e rischia sempre di essere sconfessato e sbugiardato.
La tecnologia grafica inoltre dà ad ogni persona sveglia la possibilità
di auto pubblicarsi, cosa che fino a pochi anni orsono non si poteva fare,
così che chi fa ricerca non deve temere più che i volponi della cultura
si approprino indebitamente delle loro scoperte.
Il comune di Ronchi dei Legionari ha fatto benissimo a diffidare delle
solite minestre trite e ritrite, rimescolate mille volte dagli organi
istituzionali e dai docenti universitari ingessati, e a dare credito
invece a in chi fa ricerca diretta e conosce bene il suo territorio.
Le carte topografiche a cura di A. Scarpa e le didascalie a cura di D.
Cencig e R. Pantarotto portano un’aria di assoluta novità per le
conoscenze archeologiche della nostra regione ed anticipano una serie di
cartelli guida che verranno installati nei punti nevralgici del comune.
Essi riporteranno tutti i tracciati viari antichi e l’ubicazione delle
enormi ville residenziali con mosaici installate in questa
interessantissima e frequentatissima area sud orientale della nostra
regione.
Anche le altre amministrazioni comunali dell’Isontino potranno attingere
alla stessa fonte e usare lo stesso metodo per divulgare le conoscenze ai
loro cittadini ed ai turisti.
Ecco
il link per visitare il sito di Ronchi:
http://www.comuneronchi.it/index.php?id=44665&L=0
La
Teoria di Darwin e la tecnologia
Nella
teoria dell’origine e dell’evoluzione della specie di Darwin vi è una
principio universale che recita più o meno così:
Nella selezione naturale hanno molte più probabilità di sopravvivere
coloro che si adattano più rapidamente ai cambiamenti.
Gli argomenti a cui è applicabile questo principio sono infiniti; la
scienza insegue continuamente mutazioni di ogni genere, la biologia, la
medicina, l’economia. Anche la tecnologia con l’elettronica
informatica non vi sfugge, la comunicazione mediatica ha mutato volto,
abbiamo tutto in tasca, tutto sul telefono, tutto nel computer: TV,
giornali, meteorologia, novità, tutto in diretta, tutto in streaming,
tanto che stiamo diventandone vittime, ma guai a restare indietro.
Con il telefono puoi fare di tutto, puoi fare foto, puoi fare filmati,
puoi fare i conti, puoi tenere l’agenda degli impegni, puoi mettere i
promemoria, la sveglia, la rubrica, puoi mandare messaggi, puoi comprare,
puoi pagare, puoi scrivere qualsiasi cosa, puoi leggere libri e alla fine
puoi anche telefonare!
Per pochi soldi al mese puoi comunicare 24 ore al giorno, 7 giorni su 7.
Le persone anziane guardano questo turbinio davanti ai loro occhi con
terrore, non capiscono come e cosa fare con tutti questi Pin, con queste
Sim, con questi codici; hanno sì bisogno di un telefono per chiamare
soccorso, ma con i tasti sempre grandi: hanno bisogno di un apparecchio
acustico che funzioni, di una televisione che non li bombardi
continuamente con la pubblicità, hanno bisogno soprattutto di silenzio e
normalità.
La teoria di Darwin, vista in questi termini è completamente stravolta,
è diventata un frullatore dove non ci si raccapezza più, dove manca
completamente la ragionevolezza.
Ma di cosa abbiamo veramente bisogno noi per stare a passo con i tempi,
ammesso di avere una mente aperta e una predisposizione ad accogliere il
progresso informatico e tecnologico?
Internet ha sconvolto il nostro mondo, ma se guardiamo con attenzione
quello che ci offre vediamo che ha enormemente semplificato il nostro modo
di vivere; è come un frutteto misto in cui ognuno può cogliere il tipo
di frutto che vuole, quello che gli serve o che gli piace: possiamo
scegliere ad esempio se uscire per fare una passeggiata al parco invece di
fare una coda ad uno sportello. Possiamo scegliere se comprare un libro di
carta o leggere gratis lo stesso libro sul monitor magari comodamente
seduti in poltrona. Possiamo scegliere di rivedere un film o una
trasmissione TV che ci è piaciuta quando lo desideriamo; possiamo
parlare, guardandoci in faccia con persone che si trovano dall’altra
parte del mondo. Possiamo fare la spesa al supermercato e farci consegnare
la roba a casa; possiamo farci mandare il pranzo pronto; possiamo andare
in giro senza più denaro in tasca e pagare con una carta di credito, con
un codice a barre sul telefono o con l’impronta del nostro dito.
Soprattutto possiamo spegnere tutte queste cose e farci un pisolino o una
sana dormita senza che nessuno ci infastidisca.
Se la nostra non è una mente aperta alla tecnologia, intorno a noi
possono esserci mille persone disposte ad aiutarci e a renderci la vita più
semplice, basta che abbiamo il coraggio di chiedere aiuto.
Anche dare o ricevere aiuto può essere un modo e un’occasione per
socializzare e per intessere rapporti con le persone; in fondo non tutti
hanno la possibilità e l’opportunità di accedere ai servizi attraverso
l’informatica e quindi c’è bisogno di socializzazione, di
comprensione e di altruismo.
In questo modo l’evoluzione darwiniana, anche se accelerata al massimo,
può disporre di tempi abbastanza ragionevoli per scegliere tra quello che
è superfluo e quello che è necessario. In fondo, uno dei principi
fondamentali dell’evoluzione è quello intrinseco di ricercare il
massimo profitto con la minima spesa, e non solo in senso economico.
I servizi tecnologici, dopo l’acquisto delle apparecchiature, costano
poco e ci semplificano la vita.
I profughi che giungono da noi arrivano senza acqua, senza cibo, vestiti
di stracci, ma quasi tutti con lo smartphone o con il satellitare in
tasca. Hanno imparato prima di noi che il futuro è tecnologia e
comunicazione e la comunicazione, ancorché disturbata da infinite
inutilità, è la porta obbligata verso la futura sopravvivenza.
Anche
la cultura è destinata all’accelerazione, sia per chi la consuma come
per chi la produce e le istituzioni sono perennemente all’inseguimento
dei privati che vincono sempre sullo scatto di partenza. Si salvano in
corner solo perché taluni settori dell’ambiente culturale sono
incredibilmente e ingiustamente monopolizzati.
L’archeologia
oggi.
Deve
piacerti da morire se qualcosa ti spinge a studiare, a laurearti e a
puntare il tuo futuro in una disciplina culturale come l’archeologia.
Deve essere visceralmente radicata dentro di te se vuoi fare di essa la
ragione della tua vita. Se così non fosse, scegli un’altra strada, di
certo non te ne pentirai. L’archeologia è una disciplina
autolesionistica, fa del male a chi la pratica per professione, perché
rende poco o quasi nulla. Chi spera di diventare ricco facendo
l’archeologo commette un grosso errore perché l’attività dell’archeologo
conduce spesso alla povertà e al disagio. L’ambiente di lavoro è di
per sé pessimo; i colleghi e i superiori sono generalmente nepotistici,
sono tendenzialmente ostili o comunque poco collaborativi; essi ti condurranno alla
consapevolezza di una profonda inadeguatezza professionale.
Chi nonostante tutto persevera, è spesso costretto ad
accettare condizioni impossibili pur di tirare avanti, cedendo ad altri
gli onori di eventuali risultati raggiunti.
Quello archeologico non è un bell’ambiente nel quale sperare di
raggiungere fama e onori, ma un purgatorio per peccati non commessi.
Ragazzi, non studiate
archeologia per campare, ma vivete facendo altro, nella speranza di
trovare domani il tempo e le risorse per fare un'archeologia di piacere. Non
lasciatevi circuire da chi vi dice il contrario: è un bugiardo che vi
vuole imbrogliare e vi farà del male.
Tra moltissime persone che conosco, laureate in questa disciplina,
pochissime hanno continuato ad esercitare, tra infinite difficoltà
burocratiche e assurde pretese istituzionali, tra impossibili adempimenti
fiscali e incredibili ritardi nei pagamenti da parte degli enti pubblici
committenti. Gli altri hanno abbandonato speranze e sogni e
hanno cambiato mestiere.
Questa disinteressata opinione è frutto dell’attenta osservazione delle
realtà periferiche di un’istituzione ministeriale marciscente, portata
avanti con sistemi clientelari e non meritocratici, dai peggiori burocrati
disponibili sulla piazza, intenti a rovinare quel poco di buono che c’è
ancora tra le risorse umane distribuite sul territorio italiano.
Il bene culturale archeologico, secondo i visionari del ministero, doveva
divenire il business per una grande schiera di neo laureati che avrebbero
occupato ogni spazio della ricerca, dello scavo, del restauro, della
catalogazione, della gestione e della divulgazione. In realtà è stato il
più grosso fiasco che il sistema scolastico nazionale poteva inventarsi:
sono pochissimi coloro che hanno potuto trarre vantaggio e spesso senza
averne il merito.
La ricerca ufficiale non la fa nessuno! Non ho mai visto archeologi e
funzionari andare in giro per il territorio alla ricerca di nuovi indizi o
di nuovi oggetti. Gli scavi costano moltissimo, anzi troppo, e spesso sono
promossi solo dagli atenei universitari per istruire i neo laureandi in un
mestiere che poi non faranno mai o che comunque non darà loro da vivere.
Di conseguenza, restauro, catalogazione e divulgazione restano bloccati
dall’assenza di eventi.
La vera ricerca la fanno solo gli appassionati, radicati sul territorio.
Un tempo essi erano collaborativi con le istituzioni, ma visto che sono
stati maltrattati ed estromessi da ogni compartecipazione, si tengono alla
larga dai funzionari, si tengono per
se le notizie e se le divulgano da soli. Sono finiti i tempi in cui i
furboni aspettavano al varco i raccoglitori locali, come fanno le volpi con le
galline, per carpire loro le novità ed impossessarsene.
Non funziona più cosi, la tecnologia ha avvantaggiato gli
appassionati e penalizzato gli istituzionalizzati.
I
ragazzi che si apprestano a scegliere la strada per la loro vita sappiano
che l’archeologia non paga, e se proprio non possono farne a meno, siano
coscienti dei grossi rischi a cui vanno incontro.
Disonestà
intellettuale
Non
sottovalutate gli autodidatti culturali perché il loro
sapere e la loro esperienza valgono di più delle
congetture e delle supposizioni fatte a tavolino da coloro che non sanno nulla dell'ambiente in cui sono chiamati ad operare.
Ci
sono persone che conoscono a menadito ogni luogo, ogni anfratto del
territorio in cui vivono, che possiedono un patrimonio di conoscenza, e
conservano nella loro mente nozioni che nessun altro ha. Non snobbate queste persone, non
deridetele, anche se alle volte possono sembrare strane e bizzarre, e
soprattutto non approfittatevi di loro e del loro sapere senza renderne
merito e riconoscenza perché prima o poi si rifaranno dei torti subiti.
Recentemente
ho voluto conoscere meglio una persona che stimavo e che in segreto invidiavo per il suo trascorso e per il suo sapere e
ho potuto verificare le sue grandi capacità, la sua grande disponibilità
e purtroppo anche il suo risentimento verso le istituzioni parassite
Certi
accademici, archeologi e funzionari, che si ritengono titolari del sapere,
abbandonino la loro hybris perché è segno di disonestà intellettuale.
Perché
pubblicare in Nigeria.
Chissà
quanti visitatori di questo sito si saranno chiesti perché
l’amministratore ha scelto di pubblicare libri e scritti culturali in un
paese del terzo mondo.
È un fatto insolito, ma pur sempre spiegabilissimo e logico.
È solo per questione di praticità.
L’Italia
è una nazione splendida dove l’ambiente, il paesaggio, la cultura ti danno
moltissimo, e spesso ti fanno rimane a bocca aperta. Diversamente certi italiani non
sono altrettanto splendidi; fanno leggi e regolamenti complicati e
insostenibili che mettono in difficoltà il cittadino e non lo lasciano
vivere.
Nel
mondo dell’archeologia italiana è obbligatorio chiedere il permesso dello stato
per qualsiasi cosa. Hanno burocratizzato tutto, anche il pensiero e le
idee; senza il permesso tutto è vietato a prescindere.
Se si vuole scrivere ad esempio un articolo e inserire una fotografia di una
qualsiasi cosa che appartiene a tutti noi, si deve fare formalmente
domanda e
attendere il consenso; se non si riceve risposta non si può fare nulla
perché per il semplice cittadino non vale la clausola
del silenzio assenso.
Figuriamoci per scrivere libri divulgativi che contengano molte immagini.
Allora,
per aggirare l’ostacolo, l’amministratore ha scelto di pubblicare
all’estero. Ma non all’estero in Europa, perché i trattati comunitari
fanno valere le leggi anche fuori dai confini nazionali; all’estero in
un paese dell’Africa, dell’Asia, del Medio Oriente, del sud America
dove le persone con cui è in contatto sono irraggiungibili da ogni itala bizzarria. Internet e la sua rete internazionale
completano l’opera.
La
scelta della Nigeria è stata del tutto casuale; un amico lo ha
messo in contatto con una piccola casa editrice africana; ha comprato i
diritti per usare liberamente e per molti anni il loro nome e così si è
presto liberato del contorto e farraginoso sistema burocratico italiano.
Adesso pubblica in modo indipendente, mantiene relazioni e contatti
con molte persone interessanti. La sua è una posizione privilegiata che
gli concede molte opportunità. Si rammarica solo di non averci pensato
prima.
Gli
Avvicendamenti
Gli avvicendamenti degli
organi periferici del ministero dei beni culturali sono eventi deleteri
per le associazioni e le organizzazioni di volontariato.
Ogni qualvolta viene cambiato un funzionario territoriale, in quel
territorio inevitabilmente ricominciano le incomprensioni, le prese di
posizione, le diatribe. Col tempo tutto si acquieta, ma poi puntualmente
si ricomincia da capo.
Le associazioni archeologiche sono entità legalmente costituite, perché
nessuna legge le vieta, ma non possono fare quello per cui sono costituite
perché la legge lo vieta.
Esse spesso svolgono attività marginali di supporto e di servizio ad
altre attività più importanti, quali ad esempio l’apertura e la
custodia dei musei civici territoriali privi di personale oppure la
manovalanza nelle aree di scavo a supporto degli archeologi, oppure la
pulizia dalle erbacce infestanti nelle aree di scavo musealizzate a cielo
aperto, ma non possono mai intervenire in modo diretto a nessun evento di
natura scientifica anche di infima qualità quale ad esempio il chinarsi
per raccogliere qualcosa, tipo un coccio, un frammento di mattone o
qualsiasi altro reperto dalla terra.
Siamo di fronte ad un paradosso, ad un dilemma incomprensibile e insormontabile per cui
diviene difficile comprendere fino in fondo quali siano i confini entro cui
il cittadino che fa parte di queste organizzazioni può muoversi senza sconfinare nell’illecito.
La legislazione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali è
strutturata in modo da definire ogni cittadino fuori controllo, un
potenziale delinquente, bramoso di appropriarsi e tenere per sé ogni
oggetto antico che gli capiti tra le mani.
Ancora peggiore è il cittadino che oltre a questo, decide di acculturarsi
da sé studiando abusivamente le cose antiche senza averne il consenso.
Tra i funzionari del ministero regna la burocrazia assoluta e vige il
terrore di sbagliare.
Qualsiasi atto deve avere l’imprinting al massimo livello e quindi deve
essere vistato dal livello superiore che scarica l’onere della
responsabilità sempre al suo superiore. Tutto deve arrivare ed arriva a
Roma, (comprese le domande per andare al bagno).
Chi sbaglia paga, infilzato dagli stessi colleghi di ufficio che non
aspettano altro.
In questo ambiente così sereno vengono prese le decisioni sui
rapporti con il volontariato; immaginiamoci chi si voglia prendere la responsabilità
di agire di sua iniziativa! ........ nessuno!
Le associazioni quindi vengono tenute alla larga, vengono osservate da
lontano, devono farsi vedere il meno possibile, non devono spiattellare la loro attività, specie se dedite come è di
prassi, alla
raccolta abusiva, con (o senza) il metal detector, dei reperti decontestualizzati provenienti dai
terreni arativi. Tutti sanno, ma sono costretti a lasciar correre, non essendoci una
soluzione, e anche perché, tutto sommato, questo lavoro può fare comodo.
Di tanto in tanto si ricomincia da capo: qualche funzionario viene o chiede di essere
trasferito, avviene un avvicendamento, il nuovo arrivato non conosce
l’ambiente, agisce con cautela, ricomincia la trafila delle
incomprensioni, arrivano nuovamente le intimazioni ad astenersi da
qualsiasi attività illecita e avanti così per mesi, a volte per anni,
fintanto che col tempo pian piano tutto nuovamente si acquieta e si
riprende a lasciar
correre.
Ma vi pare possibile che si debba vivere in questo modo? Eppure è così
che si vive oggi.
Per porre le basi ad una soluzione del problema, basterebbe ad esempio
partire dal presupposto che ognuno sia una persona onesta e non un
delinquente. Tutto
acquisterebbe un altro colore e la soluzione, con nuove regole e nuove
prospettive, non tarderebbe ad arrivare.
Ma la burocrazia non vive di logica, vive di potere, di interessi e di
compromessi, che oggi in questo ambiente sono quasi impossibili da sradicare.
La
memoria storica
La
memoria storica di un territorio è una componente del bene culturale che
si trova in pericolo perché spesso allocata in contenitori che sono stati
allontanati dal contesto strutturale costruito dalla società.
Prendiamo
ad esempio i beni culturali mobili, quelli che possono essere spostati,
locati altrove; essi sono beni legati al luogo di origine o a quello di
ritrovamento, legame che non può essere loro tolto, pena la perdita di
ogni profondo senso di appartenenza al luogo stesso.
Per lo stesso concetto non si può privare i luoghi della loro memoria
storica tagliando il legame con le persone che li hanno vissuti.
Nel
marasma delle leggi prodotte dalla nostra società per assicurarsi la
proprietà dei beni culturali, i legislatori non si sono minimamente
preoccupati della conservazione dei legami che intercorrono tra i beni, i
luoghi e i probi cittadini. Hanno
decretato che questi beni, oltre che appartenere obbligatoriamente allo
stato, non possono essere gestiti da questi cittadini nemmeno se fanno
parte di associazioni culturali di grande spessore, nemmeno se dimostrano
per essi un profondo e incondizionato amore.
La
cultura però non è un elemento freddo, vive di calore, di sentimenti e
di emozioni, particolari che la burocrazia, chiamata a sostituire questi
soggetti, è incapace di dare. E’ incapace di generare quella meraviglia
e quello stupore che appare sui volti dei fortunati che hanno il
privilegio di scoprire qualcosa di importante, ed è incapace di mantenere
intatto quel filo che subito si forma tra gli oggetti, le persone e
l’ambiente che li contiene.
La
scuola non insegna nulla di tutto questo, anzi insegna a ostacolare quelli
che vogliono praticare la cultura in modo diretto e attivo sostenendo che
è compito dei soli accademici, degli specialisti, dei titolati; la stessa
scuola che ha illuso migliaia di ragazzi promettendo loro un posto di
lavoro nel mondo dei beni culturali ed oggi con amarezza dice loro di
occuparsi di altro perché mancano le risorse.
Vorrei
dire a questi studenti e ai loro insegnanti che il bene culturale oltre
che oggetti è spesso una serie infinita di emozioni, di sensazioni, di
informazioni, di dati allocati in memorie che si trovano lontano dal mondo
accademico, talvolta evanescenti e a forte rischio di dissoluzione.
Prima
di tentare di tutelare le cose è necessario riavvicinare questa parte
emarginata della cultura, è necessario salvare i rapporti con le persone
perché molte di esse sono la memoria storica del territorio, perché ci
vivono dentro e ne conoscono ogni dettaglio, perché hanno partecipato ad
ogni evento sociale, umano, storico e perché anche da loro potrebbe
nascere una prospettiva nuova che possa riaccendere la speranza nel futuro
culturale del nostro prezioso e disastrato paese.
La
cultura deve essere restituita a chi la ama.
25°
anniversario di un libro che sembra non essere servito a nulla.
Così
scriveva Serena Vitri nel 1986, in veste di soprintendente territoriale,
nella presentazione del libro: "RICERCHE STORICO - ARCHEOLOGICHE
NELLO SPILIMBERGHESE":
L'iniziativa del Comune di
Spilimbergo, di cui questo volume è testimonianza, si colloca in un
quadro di nuovi rapporti di collaborazione tra Enti Locali, Università, e
Soprintendenza nella difficile opera di difesa e valorizzazione del
patrimonio archeologico regionale, in un'ottica di tutela attiva del
territorio.
La
zona oggetto dell'indagine era tra le più ingrate del Friuli da un punto
di vista archeologico: scarsissimi erano i complessi noti e studiati e
difficile l'opera della Soprintendenza, dotata di scarso personale e di
mezzi non sempre adeguati, e ostacolata dall'attività di ricercatori
abusivi, solo parzialmente tenuti a freno da gruppi locali ben
intenzionati. Tanto più meritorio si deve considerare pertanto il
lavoro promosso dal Comune di Spilimbergo e condotto dalla Cooperativa
Archeoproject. La ricerca, compiuta a contatto con docenti dell' Università
di Trieste e con la Soprintendenza Archeologica, che ha finanziato l'inventariazione
di parte dei materiali, ha portato a risultati di notevole rilievo e alla
formulazione di ipotesi stimolanti per quanto riguarda l'economia e
l'organizzazione del territorio di Spilimbergo tra preistoria e alto
medioevo. Di particolare interesse risulta la metodologia utilizzata
per la ricerca sul campo, ancora nuova per la nostra regione, ma applicata
con successo sia all'estero che, più recentemente, in varie regioni
d'Italia e comprendente: studio preliminare di carte topografiche e
pedologiche, e parallelamente di foto aeree, ricerche d'archivio, survey
sistematico, attuato anche con l'aiuto dei ricercatori locali più
sensibili e disposti alla collaborazione, rilevamento su
quadrettatura degli spargimenti superficiali relativi ai complessi
principali, catalogo completo di siti e reperti……….
Basta
scorrere le pagine, in tale occasione tutti si ringraziarono tra di loro,
il comune con i suoi tecnici, la biblioteca civica, la provincia, la
regione, l'università, la soprintendenza, la cooperativa, tutti furono
lodati, tutti
tranne i ricercatori locali che,
senza limiti di disponibilità alla collaborazione, segnalarono i siti,
portarono i soci di Archeoproject in giro per i campi, e li aiutarono a
compilare la lista dei reperti.
Senza
l'opera dei ricercatori locali gli archeologi avrebbero trovato poco più
di niente.
Eppure quelle righe sembravano
evocare la conquista della luna: metodi rivoluzionari e avveniristici con
termini anglosassoni, archeologi preparatissimi che avrebbero individuato
con i satelliti, con le foto aeree, sulle mappe, negli archivi (e
un minuscolo insignificante aiutino dei ricercatori locali),
ogni più piccola evidenza archeologica.
La loro illusione si infranse già
qualche giorno dopo la presentazione del libro, quando, vista la totale
esclusione dei volontari dai convenevoli ringraziamenti, comunicai ai
redattori dell'opera di non aver segnalato a titolo precauzionale un
enorme sito posto in comune di Spilimbergo.
Al capo della Cooperativa Archeoproject venne un colpo quando lo portai
nel mezzo di un campo di mais e gli feci vedere uno spargimento di mattoni
romani superiore ad un ettaro di superficie, che i suoi portentosi
strumenti si erano dimenticati di vedere.
Ero stato previdente nell'immaginare che gli operatori di volontariato
come me sarebbero stati esclusi, e pensare che sarebbe bastato qualche
nome all'interno di una piccola nota a titolo di ringraziamento per
trasformare un vergognoso scippo di informazioni private in una
condivisione di meriti per avere svolto un lavoro impegnativo e serio.
Sono
passati venticinque anni da allora e l'opera
si è rivelata praticamente inutile
perchè non è riuscita nemmeno a salvaguardare l'esistenza dei siti
segnalati, uno dei quali addirittura posto sotto vincolo archeologico
dall'ufficio tecnico comunale.
E questa sarebbe la tutela del patrimonio?
I politici venuti dopo e gli accademici, che tanto si erano premurati di
auto compiacersi, pur essendo al corrente dell'esistenza di molte altre
evidenze individuate successivamente, non sono mai venuti a chiedere di
integrare l'opera delle parti mancanti.
Come mai?
O non gliene importa nulla o
hanno la coscienza sporca.
E questo è il modo di
soprintendere?
Nel 2008 è evaporato nel nulla un insediamento romano di discrete
dimensioni che si trovava nei magredi di Barbeano, purtroppo sconosciuto
nel 1986 e quindi non segnalato, nello stesso modo in cui erano gia
spariti la Montagnola di Barbeano e Prapollastri a Tauriano che invece
erano presenti nelle ricerche spilimberghesi.
Non parliamo poi del sito vincolato, che sotto la cotenna erbosa celava
ancora parte dei ruderi della casa romana, arato dall'inconsapevole(?)
proprietario che dopo la denuncia dello sbancamento ha avuto sì un
mucchio di fastidi, ma ormai il danno è stato fatto.
C'è
da chiedersi se questo libro sia servito a qualcosa o no,
e se non sia ora che il comune e la biblioteca civica si attivino per
riscriverlo integrandolo delle parti mancanti.
E' necessario rinfrescare la coscienza dei cittadini, soprattutto
di quelli preposti a far rispettare le pubbliche normative, ma è
necessario farlo riscrivere a quei ricercatori che tanta parte hanno avuto
nella meritoria raccolta dei beni archeologici e delle informazioni sul
territorio spilimberghese,
per riparare al grosso torto fatto venticinque anni fa.
Staremo a vedere.
Un
ministero con il portafoglio vuoto
Non
è per caso che il soprintendente ai beni archeologici del Friuli Venezia
Giulia, partecipando ad un evento, si sia lamentato con i politici
presenti del fatto che le acquisizioni di reperti abbiano quasi come unica
fonte la ricerca di superficie e non lo scavo.
Ha fatto notare che la politica non si impegna per reperire quanto
necessario per promuovere campagne archeologiche di scavo per portare ai
musei reperti degni del loro nome.
Lo stesso soprintendente ha anche convocato gli istituti universitari, gli
enti museali e le associazioni di volontariato regionali per valutare le
reali possibilità (economiche) di riuscire a scavare.
Si
perchè lo scavo ha un costo altissimo e ad esso sono ammesse solo quelle
entità che sono in grado di produrre fondi (denaro), non per la loro
capacità archeologica, ma per quella di saper mungere in qualche modo lo
stato, le regioni o le fondazioni bancarie.
In definitiva la soprintendenza non ha soldi e non può fare nulla, è
terribilmente impegnata a soprintendere il proprio stipendio, i costi di
gestione della burocrazia e la difesa del proprio status continuamente
minacciato dalle lotte intestine che la politica produce con i suoi
ruffianismi.
Le
associazioni di volontariato, uniche entità a non soffrire della crisi
economica perchè lavorano gratuitamente, auspicano che in tale frangente
si apra un po' di credito verso le loro attività, verso la valorizzazione
del lavoro volontario, ma i loro auspici sono comunque destinati ad essere
disattesi:
questa generazione di politici ottusi e incapaci non vorrà mai cedere la
gestione anche di parte dei beni culturali alle associazioni o ai privati,
non vorrà creare posti di lavoro privato nell'ambito della cultura, ma
preferirà lasciar andare tutto allo sfascio nell'ottica del "tanto
peggio tanto meglio".
Le
associazioni archeologiche ed i beni culturali
Le
associazioni archeologiche locali di volontariato nascono quasi sempre in
seguito ad un ritrovamento, ad una scoperta, ad un evento significativo
che segna un momento culturale importante di una città, di un territorio.
Ben
presto imparano a destreggiarsi tra ricognizioni collettive, piccoli saggi
di scavo, reperti e libri che riferiscono notizie storiche importanti. Con
quello che trovano vorrebbero fare un museo nella loro città e spesso
vanno in contrasto con le istituzioni che non permettono che nascano
ovunque raccolte ed esposizioni.
Alcune
associazioni vivono qualche anno e poi muoiono di morte naturale
dimenticando lo spirito che le aveva fatte nascere;
altre invece, dopo essere riuscite a realizzare qualche piccolo
progetto, si assestano nel loro essere e
vivacchiano facendo di tanto in tanto qualcosa;
altre ancora, dopo qualche anno, si
trasformano in fondazioni culturali che promuovono, che incentivano, che
raccolgono fondi a favore, che pubblicano libri, ma che non fanno più
ricerca attiva.
La realtà che sta davanti a noi
è incredibile e patetica; di archeologia tra
le associazioni non si parla quasi più e poi ci si meraviglia che sia poca
la gente che si interessa di questa disciplina culturale e che alle
conferenze che si tengono qua e la non partecipi nessuno.
Solo
a chi ha pochi problemi e nulla da fare
può venire in mente di occuparsene.
Quanto
gretti e ignoranti sono i politici che ci governano!
Un
popolo senza storia e senza riferimenti al passato è un popolo senza
futuro!
Una
timida apertura però sembra nascere nei progetti di alcune regioni a
statuto speciale che sembra stiano dando credito alle associazioni e
tentino di valorizzarle. Sarà
vero?
Il
problema principale è la legislazione italiana in materia di beni
culturali che impedisce l'esistenza di associazioni di privati
cittadini libere di esercitare la ricerca archeologica e nello stesso
tempo non garantisce nemmeno la sopravvivenza economica per coloro che hanno inteso fare dell’archeologia una professione,
costringendoli a stipendi da fame o all’esercizio di tutt’altra
professione.
E
non è la recessione economica la causa di tutto questo, ma la pessima
gestione statale dei beni culturali, che impedisce di fatto qualsiasi
mozione imprenditoriale, qualsiasi possibilità per i cittadini di
accedere ad attività economiche improntate sui musei, sui reperti
archeologici, sulle cose che lo stato si è arrogato proprietario a
partire dal 1939.
Molto
diversa avrebbe dovuto essere la legislazione, avrebbe sì dovuto impedire
e vietare l’esportazione dei beni culturali, ma allo stesso tempo
incentivare il cittadino alla loro valorizzazione e al loro sfruttamento
economico come succede nelle nazioni civili ed evolute.
L’Italia,
che ha beni culturali ovunque e più di ogni altra nazione al mondo, è
totalmente incapace di gestire il suo patrimonio,
di far lavorare migliaia di persone nell’ambiente dei musei e degli
scavi e perfino di lasciar lavorare chi lo vuol fare gratuitamente.
Reperti di serie A e
reperti di serie B
…"Purtroppo i
materiali rinvenuti risultano essere privi di una qualsiasi
contestualizzazione sia per il metodo usato per il loro rinvenimento,
ossia la raccolta di superficie, sia per il fatto che in questa
zona…."ecc ecc.
Questa è la classica
frase atta a declassare i rinvenimenti degli archeologi dilettanti.
Ci si rammarica sempre
che i materiali raccolti in superficie non possono godere del privilegio
di essere stati trovati con cazzuolino e pennello da un dottore in
archeologia in quel preciso centimetro quadrato dello scavo e in quella
precisa unità stratigrafica minuziosamente documentata……. ma sono pur
sempre dei degnissimi reperti antichi riferibili a precisi insediamenti,
annotati con altrettanta cura dagli archeologi della domenica ai quali non
può essere attribuita la causa della mancanza del contesto di scavo, ne
si può pensare di accusare il contadino perchè ara la sua terra e
sconvolge lo strato archeologico!
Sarebbe forse meglio lasciare la roba lì?
E poi non mi è mai
capitato di vedere indicato sulle didascalie delle teche dei musei che
questo o quel reperto provenga da uno scavo ufficiale o da un ritrovamento
fortuito; alla maggior parte
dei visitatori non gliene frega niente, godono della bellezza del pezzo,
lo ammirano e poi se ne vanno contenti.
La maggioranza degli
oggetti esposti nei musei proviene da ritrovamenti casuali e non da scavi
stratigrafici, però la provenienza non viene mai citata per convenienza.
Immaginiamo se tutti i reperti che non provengono da scavo
venissero tolti dalle teche perchè classificati di serie B che magra
figura ci farebbero quelli restanti di serie A?
I dottoretti di primo
pelo a cui viene chiesto di curare qualche esposizione o mostra tipo
quella dei Pesi di S. Vito al Tagliamento se proprio non possono fare a
meno di farci rimarcare la declassata provenienza dei nostri ritrovamenti
di superficie, siano altrettanto onesti da fare la conta di quanti siano i
reperti di serie A e di quanti di serie B oppure la smettano di rifilarci
la frasetta sulla contestualizzazione che ci fa venire la bile e i gironi
cogliati!
Ci
dicono di tutto, ma poi qualcuno corteggia il nostro hobby
Ho
avuto occasione di parlare con molti studenti universitari del corso di
lettere antiche e/o di archeologia ed ho
potuto constatare quanto astio ci sia nei confronti di chi fa ricerca
archeologica per
diletto. I professori universitari hanno il dente avvelenato contro gli
appassionati locali ed i gruppi archeologici territoriali ed inculcano nella testa degli studenti un odio
scatenato verso queste persone.
Salvo
doversene poi pentire, questi
ragazzi manifestano una repulsione quasi viscerale nei confronti di
chi esercita la ricerca e la raccolta di superficie passeggiando sui campi
arati perché spessissimo i
dilettanti raccolgono molta più roba di loro.
Sono
talmente plagiati e convinti che solamente lo scavo stratigrafico possa
dare risultati importanti che non si rendono conto di quello che dicono e
temono la concorrenza di gente senza titolo che lavora gratuitamente.
Però
noi sappiamo che i luoghi integri dove poter esercitare lo scavo ce ne sono ben pochi,
che il 95% degli insediamenti conosciuti
si trovano in campi coltivati e sconvolti dalle arature, sappiamo che il
ministero dei beni culturali è senza soldi, che di
progetti culturali ad ampio respiro non ce ne sono, che se si fa
ancora qualcosa è merito di finanziatori privati esteri, che la
politica del turismo culturale in Italia fa schifo mentre dovrebbe essere
ai vertici mondiali e che solo pochissimi italiani si rendono conto di
avere tra le mani il più grande tesoro culturale del mondo, e pur avendo ottime idee,
non viene
data loro la benché minima opportunità di poter fare qualcosa.
E
allora?
Allora
molti studenti, dopo la laurea cambiano mestiere perché difficilmente
trovano lavoro, e quelli che tengono duro si rendono finalmente conto che
non sono i dilettanti la causa dei loro guai perché se ai dilettanti è
fatto divieto di eseguire scavi, per gli archeologi è sconveniente e
sminuente fare raccolta di superficie cosicché si accorgono che i due
mondi non si incrociano, non si toccano, non si danneggiano, anzi possono convivere e perfino collaborare.
Ecco allora che qualche
giovane archeologo, esplorando nuove inaspettate opportunità, entra in simbiosi con
qualche gruppo di dilettanti e collabora con loro traendone vantaggi......
in barba al bieco insegnamento universitario.
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